Una mattina mi son svegliato e ho googlato l’invasor. Oggi a Giancarlo Magalli, domani a Bella Ciao; al giorno d’oggi non si sa mai a chi può toccare di ringiovanire, o addirittura di risorgere in Rete dalla propria leggenda. L’ultimo a intonare la leggendaria canzone partigiana è stato Alexis Tsipras durante la chiusura della sua campagna elettorale per le elezioni greche, ma ormai è un passaparola planetario che si infoltisce di giorno in giorno.

Dove c’è una folla unita dalla protesta o dalla dissidenza, c’è Bella ciao. È stata intonata alle esequie per i vignettisti Charb e Tignous uccisi nell’assalto al settimanale Charlie Hebdo. Prima ancora c’erano stati quelli di Occupy Wall Street a Zuccotti Park, e i dimostranti di Piazza Taksim a Istanbul nei cortei contro il premier turco Erdogan.

È echeggiata in coro anche tra i giovani dimostranti di Hong Kong; e se non è ancora arrivata in Giappone (la versione in giapponese su Youtube c’è già), è solo questione di tempo. Da noi, che bene o male deteniamo il copyright, la corsa a mettere il cappello, o la felpa, o la maglietta della salute, è in pieno svolgimento e genera strane commistioni; hanno cantato Bella ciao Camusso e Landini alle manifestazioni della Cgil, Michele Santoro in apertura di Servizio pubblico, ma anche il sedicente “comunista vecchia maniera” Matteo Salvini, abilissimo in realtà a captare tutti i tram che passano, in segno di protesta contro i disperati che sbarcano sulle nostre coste. Dimmi che invasore hai e ti dirò chi sei.

Repubbliche delle banane a parte, il segnale è preciso: la crisi non è mai stata tanto globale e così, per il noto principio della dinamica, sta nascendo una resistenza uguale e contraria. Passo dopo passo, le note della canzone partigiana, di cui in realtà non si è mai stabilita la vera origine, stanno dando forma a una sorta di corteo planetario, dove non ci sono distanze che non possano essere colmate in un clic; e anzi, la lontananza diventa un incentivo a riconoscersi in una ribellione sempre più trasversale.

In fondo, non fa una piega: se l’oppressore è globale come il capitalismo senza nome e senza volto che di fatto ci governa, anche chi vi si oppone non conoscerà più confini e cercherà un’identità comune. La Rete è una grande piovra, ma è anche piena di macchie e di montagne adatte a organizzare imboscate. Altrettanto significativo è il testacoda tra vecchi messaggi (ma vecchi perché intramontabili) e mezzi nuovissimi: la vecchia canzone rimbalza da una piazza all’altra del globo grazie alla viralità social, il clandestino si fa ubiquo; e nel caso di Bella ciao non si può escludere che sia proprio la sua patina d’epoca, il suo ribellismo in bianco e nero a farla amare di più. Così il futuro torna al passato che il presente vorrebbe seppellire: c’è qualcosa di nuovo oggi in Rete, anzi di antico.

il Fatto Quotidiano, 24 Gennaio

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