Presidenti del Consiglio, per cominciare. Almeno cinque. E poi, ministri dell’Ambiente e governatori di Regione. Sono coloro che rischiano di dover mettere mano al portafogli e saldare di tasca propria dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea che, lo scorso 2 dicembre, ha condannato l’Italia al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro fino a quando non darà piena esecuzione ad una sentenza del 2007 legata alla disastrosa gestione dei rifiuti. Una sentenza che obbliga il nostro Paese anche a sborsare una penalità di ben 42 milioni 800.000 euro per ogni semestre di ritardo che si registrerà nell’attuazione delle misure necessarie per risolvere il problema.

RESA DEI CONTI Ad occuparsi della vicenda, sorprendentemente passata sotto silenzio, sarà ora la Corte dei Conti, il cui intervento è stato sollecitato dai deputati del Movimento 5 Stelle (M5S) che lo scorso dicembre hanno presentato un esposto (la deputata Claudia Mannino prima firmataria) per danno erariale contro i capi di governo ed i ministri dell’Ambiente, innanzitutto, «responsabili dell’onerosa procedura d’infrazione europea per quanto attiene ai rifiuti». Ad essere chiamati in causa dai parlamentari di Beppe Grillo sono i cinque premier -Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi– e i ministri che dal 2007 si sono susseguiti alla guida del dicastero che ha in carica la gestione della delicata materia: Alfonso Pecoraro Scanio, Stefania Prestigiacomo, Corrado Clini, Andrea Orlando e Gian Luca Galletti.

PANTALONE ALLA RISCOSSA Secondo i parlamentari grillini che hanno avviato l’iniziativa «non è ammissibile che a pagare siano i cittadini, dato che i responsabili sono gli amministratori che non hanno affrontato e risolto adeguatamente questo annoso problema». Un concetto ribadito dallo stesso ministro Galletti in occasione della sua audizione in commissione Ambiente e Politiche comunitarie riunite poco prima della sosta natalizia. Il ministro dell’Ambiente ha spiegato che – a differenza da quanto egli stesso aveva detto e comunicato appena avuto notizia della sentenza – non è vero che l’Italia non pagherà un euro, ma che comunque il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan certamente si  rivarrà su tutti i responsabili delle inadempienze, che non sono poi solo i vertici di governo. Ad essere coinvolti, infatti, risultano anche i sindaci e presidenti delle Regioni che hanno amministrato i territori dove sono ubicate le discariche oggetto della sentenza della Corte di Giustizia europea. Anche se, come denunciano i parlamentari del M5S, risulta purtroppo “desaparecida” la lista dei comuni interessati dalla procedura d’infrazione.

CORPO A CORPO Il nostro Paese era finito nel mirino della Commissione europea dopo che un censimento dei depositi del 2002, condotto dal Corpo Forestale dello Stato (Cfs), aveva identificato 4.866 discariche abusive, per una superficie totale di 19.017.157 metri quadrati. Il Cfs aveva inoltre denunciato l’esistenza di 1.765 discariche che non risultavano nei due censimenti precedenti. Motivi per cui la stessa Commissione, nel luglio del 2003, aveva messo in mora l’Italia aprendo la procedura di infrazione che, nel 2007, ha portato alla condanna del nostro Paese per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari. Il 16 aprile 2013, poi, la Commissione aveva presentato un nuovo ricorso contro l’Italia per non aver adottato i provvedimenti utili per conformarsi alla sentenza del 2007.

GALLETTI SPENNATI «Andremo in Europa con la forza delle cose fatte», aveva dichiarato il ministro Galletti appena saputo della multa record. Peccato però che dall’ultimo aggiornamento trasmesso dalle Regioni al governo sullo stato degli interventi di bonifica (maggio 2014)  risulti che solo 47 delle 218 discariche segnalate nel ricorso del 2013 sono state bonificate, mentre per i rimanenti 171 siti gli interventi sono appena progettati o in corso di esecuzione.

di Vincenzo Mulè

 

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