Nello Yemen il governo, assediato dai ribelli sciiti Houthi, si è dimesso. Lo ha annunciato il portavoce. I ribelli anche questa mattina presidiavano l’abitazione del presidente Abdel Hadi Mansur – che secondo alcuni media ha lasciato la carica – e stazionavano attorno alla sede del palazzo presidenziale. Ieri sera, dopo molte ore di braccio di ferro, secondo media controllati dagli insorti, era stato raggiunto un accordo tra questi ultimi e il presidente, che avrebbe accettato di modificare la costituzione per allargare la presenza dei ribelli sciiti in parlamento e nelle istituzioni statali.

I ribelli, che da mesi chiedono una spartizione più equa del potere, martedì si sono di fatto impadroniti dei vertici istituzionali di un Paese cardine tra Corno d’Africa e Penisola Araba. Stretto tra un’insurrezione, dietro cui alcuni vedono lo spettro iraniano, e il conseguente rafforzamento politico, militare e ideologico del jihadismo attratto dal progetto, finora vincente in Iraq e Siria, dello Stato islamico (Isis). Il presidente Abed Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, era di fatto prigioniero nella sua abitazione dagli insorti Houthi, un gruppo armato appartenente allo zaidismo, branca dello sciismo che nel nord ha le sue roccaforti e che conta un terzo dei 25 milioni di yemeniti.

Il premier Khaled Bahhah, anch’egli da martedì rimasto assediato nella sua casa, ieri era mettersi in salvo in un “posto sicuro”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si era riunito  in una seduta straordinaria condannando le violenze, invocando un cessate il fuoco e ribadendo che il presidente Hadi rappresenta l’autorità legittima nel Paese. Analogamente, rappresentanti del Consiglio di cooperazione del Golfo, un’emanazione del potere saudita nella regione, avevano chiesto il ritiro degli insorti dal palazzo presidenziale. Dopo aver conquistato la capitale Sanaa con un golpe quasi incruento nel settembre scorso, i ribelli guidati dal 33enne Abdel Malek Houthi, figlio dell’eponimo fondatore del gruppo armato, avevano da martedì innalzato il livello dello scontro: prima, rapendo alcuni consiglieri del presidente; poi, attaccando la vecchia sede del palazzo presidenziale, dove ci sono importanti depositi di armi.

Mercoledì gli Houthi hanno conquistato una caserma alla periferia della capitale, dove stazionano missili balistici. E i militari presenti non hanno opposto resistenza, secondo quanto riferiscono fonti locali. Dall’altra parte del Paese, nel sud indipendentista e ostile ai ribelli, le autorità hanno chiuso l’aeroporto civile e il porto commerciale “in segno di protesta contro il golpe”. Sul terreno il timore è di un inasprimento del conflitto con l’entrata in scena su larga scala di qaedisti e jihadisti del centro e dell’est del Paese.

Oscurata dall’avanzata dell’Isis, l’ala yemenita di al Qaeda aspetta da tempo un’occasione per rilanciare la propria immagine. In tal senso, dal pulpito qaedista yemenita era giunta la rivendicazione nei giorni scorsi dell’attentato di Parigi contro Charlie Hebdo. Gli Houthi, che per otto anni (2004-2012) si sono fatti la guerra con l’ex presidente Saleh, anch’egli zaidita, sono ora strumentalmente sostenuti proprio dall’ex raìs, deposto due anni fa sull’onda delle proteste popolari scoppiate in varie aree del mondo arabo. Saleh spera ora di rientrare nella scena politica, presentandosi agli Usa, ai sauditi e all’Iran come l’unico in grado di riportare l’ordine e sfidare il “terrorismo” jihadista.

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