Sono trascorsi  78 anni da quando la parola ‘jazz’ fece la sua prima apparizione sugli schermi cinematografici; si trattava inoltre del primo film sonoro della storia del cinema. Il titolo era “The Jazz Singer” (in Italia tradotto letteralmente: Il cantante di jazz) diretto nel 1927 da Alan Crosland.

Protagonista di questa storia strappalacrime Al Jolson, famoso cantante-attore di Broadway di quegli anni la cui caratteristica era quella di tingersi il volto di nero e le labbra bianche. In realtà Al Jolson con il jazz aveva poco da spartire e tantomeno in questo film dove di jazzistico c’era soltanto il titolo; inoltre il film era soltanto cantato e non parlato (al posto dei dialoghi infatti apparivano ancora le didascalie come nei film muti).
Il film racconta la vicenda del figlio di un pastore ebreo di provincia che rinuncia, contro il volere del padre, a cantare in sinagoga perché attratto dai musicals di Broadway.

L’anno successivo Al Jolson interpreterà il secondo film sonoro della storia del cinema dal titolo: “The Singin’ Fool” (Il cantante pazzo) in cui questa volta si potevano ascoltare anche i dialoghi.

Nel 1929 King Vidor gira “Hallelujah” (id), uno straordinario film interpretato interamente da attori di colore. Il film, che descrive la vita nei campi di cotone in uno stato del sud, è tratteggiato soprattutto da spirituals e worksongs; le poche esecuzioni jazzistiche sono affidate a Nina McKinney (qui veramente straordinaria) e alla bluesinger Victoria Spivey che qualche anno prima aveva inciso dischi con King Oliver e con Louis Armstrong.

L’anno seguente sugli schermi viene proiettato il film “The King of Jazz” (Il re del jazz) di John Murray Anderson girato in un Technicolor primitivo basato su due soli colori e non su tre come avverrà dopo qualche anno. Protagonista del film era il celebre direttore d’orchestra Paul Whiteman qui assieme a Joe Venuti, Eddie Lang, Bing Crosby, Frank Trumbauer e Mike Pingitore; anche questa volta il jazz c’entra pochissimo e gli unici momenti felici sono quelli dedicati al duo Venuti/Lang e ai “Rhythm Boys” con Bing Crosby; per il resto il film è un assurdo collage di sketches e balletti senza né capo né coda che fanno da contorno a Whiteman.

In quell’epoca il sistema sonoro adottato era fornito dalla Vitaphone che si basava sulla sincronizzazione fra la pellicola e i dischi contenenti la colonna sonora. La Vitaphone, oltre che servire le grandi major, produsse una serie infinita di shorts musicali fra i quali ricordiamo quello di Red Nichols con Eddie Condon e Pee Wee Russell (1929), quello di Noble Sissle e Eubie Blake (sempre del 1929), e quello di Ben Bernie (l’autore di Sweet Georgia Brown del 1930).

Non dobbiamo dimenticare che il cinema sonoro su larga scala inizia dal 1929 e coincide con la crisi economica di Wall Street e gli anni a seguire videro la maggior parte dei locali chiudere e di conseguenza molti musicisti (soprattutto quelli di colore) costretti a cambiar mestiere.

Di quei primi anni del sonoro sono alcuni cortometraggi indipendenti girati in economia e interpretati interamente da  gente di colore fra i quali ricordiamo “Back and Tan”(1929) con l’orchestra di Duke Ellington,  e “St. Louis Blues” sempre del 1929, unica apparizione della grande blue-singer Bessie Smith che scomparve qualche anno dopo in un drammatico incidente d’auto. In questo breve film la grande interprete è accompagnata dai musicisti dell’orchestra di Fletcher Henderson riuniti dal pianista James P. Johnson, uno dei grandi pianisti storici della storia del jazz.

In seguito nei primi anni trenta gli shorts si moltiplicarono e molti artisti furono chiamati ad interpretarli (Don Redman, Louis Armstrong, Cab Calloway, Hoagy Carmichael, Jack Teagarden…). Fra questi degno di nota è “Symphony in Black” del 1934 con una giovanissima Billie Holiday assieme a Duke Ellington.

Articolo Precedente

Eva Izsak è Charlie Hebdo

next
Articolo Successivo

Arte Fiera Bologna 2015, edizione all’insegna della fiducia: numeri positivi

next