Nando Mericoni/Alberto Sordi senza di lui non avrebbe mai potuto pronunciare la battuta: “Maccherone m’hai provocato e ti distruggo adesso. Io me te magno”. Stefano Vanzina, Steno dietro la macchina da presa, di cui ricorrono il 19 gennaio 2015 i 100 anni dalla nascita, è l’autore dell’immortale pellicola Un americano a Roma (1954): una delle oltre settanta commedie da lui dirette in quasi 50 anni di carriera. Numeri da capogiro, quando ancora il cinema era arte gustosamente popolare, capace di raccontare idiosincrasie e vizietti degli italiani, senza perdere di vista il giusto equilibrio tra fare cassa e l’onesta costruzione del meccanismo della risata. Steno, infatti, è sinonimo di commedia: pura, totale. Per lui, e davanti al suo obiettivo cinematografico, hanno recitato i più grandi comici italiani: Totò, Alberto Sordi, Renato Rascel, Aldo Fabrizi, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Lando Buzzanca, Gigi Proietti, Renato Pozzetto, Diego Abatantuono, Paolo Villaggio, Enrico Montesano.

Vanzina è l’autore dell’immortale pellicola Un americano a Roma: una delle oltre 70 commedie da lui dirette in quasi 50 anni di carriera

Difficile stilare una classifica tra i titoli, più facile suddividere in decadi la filmografia del papà di Carlo ed Enrico Vanzina, quest’ultimo autore di almeno una decina di sceneggiature del padre da Febbre da cavallo (1976) fino all’ultimo Animali Metropolitani (1987), passando da Tre tigri contro tre tigri. Intanto lo pseudonimo Steno che nasce durante il fecondo apprendistato negli anni trenta durante il fascismo alla storica rivista di satira del “Marc’Aurelio” dove lavoravano, tra gli altri, Ettore Scola, Cesare Zavattini, un 18enne Federico Fellini, Age e Scarpelli.

Poi un fugace passaggio al Centro Sperimentale di Cinematografia allora nascente e subito uno script per un film di Mario Mattoli nel 1939 (Eravamo sette vedove), poi Abbandono nel ’40 dove compare ufficialmente come sceneggiatore e aiuto regia sempre di Mattoli. Trentadue i film da collaboratore prima che arrivi l’esordio nel ’49 con Al diavolo le celebrità, firmato a quattro mano con Mario Monicelli, con cui codirigerà altri otto titoli: Steno disegna i tratti essenziali dei personaggi, Monicelli li coordina sul set. Con loro nel 1950 c’è subito Totò con Totò cerca casa a cui seguiranno nella prima decade fino al 1960, quella di Un Americano a Roma e Un giorno in pretura, Totò a Colori e I Tartassati. Dal 1960 al 1970 si inizia con i titoli parodia – A noi piace freddo -1960, Psycosissimo 1961-, ma ci sono anche Totò Diabolicus, I due colonnelli, e I gemelli del Texas – un western comicheggiante con Vianello e Walter Chiari.

Con lui recitarono anche Rascel, Chiari, Vianello, Buzzanca, Proietti, Pozzetto, Abatantuono, Villaggio, Montesano

A ritmo anche di tre-quattro film all’anno lo sguardo arguto di Steno si rivolge anche a Franchi e Ingrassia, a Johnny Dorelli che diventa Dorellik, l’inafferrabile criminale ricercato da tutte le polizie d’Europa, e Rita Pavone ne La feldmarescialla. Ma è forse nel decennio 1970-80 che Steno raggiunge l’apice della sua carriera innestando le dinamiche rodate e divertite della commedia nel cinema di genere: sua l’invenzione della serie Piedone/Bud Spencer (Piedone lo sbirro – 1972 – è un successo di pubblico oltremisura), quella occhieggiante al filone erotico che poi deborderà nei “Pierini” con La Poliziotta (1974) (anche se la Melato nel film interpreta una vigilessa ndr); il poliziottesco tout court La polizia ringrazia (1972) dove Steno si firma per la prima volta Stefano Vanzina; e le commedia di costume da Febbre da cavallo (1976) al celebre La patata bollente (1979) dove forse per la prima volta in Italia si ride con delicatezza e rispetto, senza sfottere in modo superficiale, su un tema come l’omosessualità oltretutto incrociata alla tolleranza in casa Pci. “Quel set fu una festa”, spiega Renato Pozzetto al fattoquotidiano.it che nel film interpreta l’operaio comunista detto il “Gandhi”. “Fu un modo sensibile di andare incontro al prossimo, un gesto d’amicizia e di amore. Il pubblico apprezzò e Massimo Ranieri, nel film il gay Claudio che si innamora di me, fu bravissimo nell’interpretare con garbo quella parte”. Un film che ricevette perfino il plauso di Moravia dalle colonne de L’Espresso: “Il film è gentile, nient’affatto volgare”.

Lo sguardo arguto di Steno si rivolge anche a Franchi e Ingrassia, a Dorelli, Rita Pavone. Sua l’invenzione di Piedone/Bud Spencer 

Anche se per Steno il rapporto con la critica non fu mai tenero: “Io volevo fare il critico, poi è successa una cosa che mi è dispiaciuta. Io andavo a vedere i film di papà e poi verificavo che erano trattati con sufficienza”, spiega il figlio Carlo nel bel volume Steno, scritto da Massimo Giraldi (Gremese). “Per dire a scuola con me c’era Paola Comencini, e i film del padre erano sempre osannati – continua il regista di Sapore di Mare – non avevo valutato alcuni particolari di contorno: i film di Monicelli uscivano in grandi sale del centro, quelli di papà in prima visione in locali di quartiere. Ero anche amico dei figli di Dino Risi e veniva fuori sempre questo paragone che non era simpatico”. “Papà, quasi non volendolo, è rimasto per quasi cinquant’anni al centro del mondo cinematografico italiano, sempre in tono scanzonato – chiosa l’altro figlio Enrico – (…) per i produttori era garanzia di sicurezza e di risultato finale, senza spese inutili e con il lavoro che si concludeva entro le quattro settimane”. Steno è morto a Roma il 18 marzo del 1988.

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