File photo of French comedian Dieudonne attends a news conference at the "Theatre de la Main d'or" in ParisE poi sarebbero bionde che non capiscono le battute. Il comico francese Dieudonné è stato arrestato dopo che – di ritorno dalla marcia di domenica scorsa a Parigi – aveva postato su Facebook quanto segue: “Je suis Charlie Coulibaly“. Aveva messo insieme lo slogan di solidarietà ai vignettisti uccisi e il cognome del terrorista che ha ammazzato cinque persone nel supermercato kosher. La battuta era da leggere in relazione al suo autore, che ha poi spiegato: “Da un anno sono trattato come il nemico pubblico numero uno anche se non faccio altro che cercare di far ridere… mi trattano come Amedy Coulibaly ma non sono affatto diverso da Charlie”.Ed è difficile dargli torto, nonostante le sue inaccettabili posizioni antisemite (per le quali è stato condannato).

 Perché il suo arresto – hanno notato in molti – ha svelato che la Francia è la patria di Voltaire un po’ a giorni alterni. Ed è ovvio che i principi, come i diritti, non si possono utilizzare a piacimento: o sono assoluti o non sono. Il pericolo potenziale è proprio nel relativismo.  Oltralpe il dibattito su Dieudonné riesplode ciclicamente: l’anno scorso andò in scena un balletto tra prefetture e Tar che volevano vietare i suoi spettacoli. Il tutto con il placet dell’esecutivo e ministri che esultavano (“È una vittoria della Repubblica contro l’antisemitismo”, aveva detto Manuel Valls, ai tempi ministro dell’interno; “Non possiamo accettare che nella nostra società ci sia anche la minima compiacenza con l’antisemitismo, totalmente estraneo ai nostri valori e ai nostri principi”, disse l’allora premier Ayrault). Ora: questo signore si vanta di aver fatto pipì sul Muro del pianto. E questo qualifica bene le sue posizioni, senza bisogno di aggettivi e considerazioni a latere.  

Ma l’arresto di Dieudonné è due volte sbagliato: non solo perché la libertà di manifestazione del pensiero va garantita a tutti, ma anche perché mette un megafono alle posizioni antisemite. E qui giustamente torna d’attualità il dibattito sull’ipotesi di introdurre in Italia il reato di negazionismo, di cui molto si è parlato lo scorso anno quando un

disegno di legge proponeva la punibilità di chi nega “l’esistenza di crimini di guerra, di genocidio o contro l’umanità”.   In tanti hanno notato il rischio amplificazione. Ma la cosa grave, molti giuristi hanno aderito a questa lettura, è che ci si proponeva di perseguire un pensiero in sé per quanto si trattasse di un pensiero abietto.
Senza contare che le censure sviluppano sempre i propri antidoti, non è ammissibile prendersi la libertà di negare la libertà. Dietro l’angolo ci può essere, potenzialmente, qualunque repressione del pensiero (per questo i reati d’opinione andrebbero aboliti).
In queste settimane abbiamo sentito fiumi di parole, parole giuste, a proposito del diritto di satira, del diritto di dire, scrivere, disegnare le proprie opinioni. Anche quando offendono qualcuno: è la democrazia, bellezza. Ma quella che non accetta un’opinione inaccettabile, è una democrazia ridotta.

  @silviatruzzi1

Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2015

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