Roma, sciopero in otto Cinema contro licenziamentiPer una volta, se permettete, non parlo di tv ma di cinema. C’è infatti una notizia, anzi una non notizia, una notizia mancata che mi ha colpito.

In settimana sono usciti i dati elaborati da Cinetel sulla produzione e il consumo del cinema in Italia. Dati non entusiasmanti, calo di 6 milioni nei biglietti staccati, nessun best seller né nazionale né americano, con la sola consolazione dell’aumento della presenza nelle sale dei film europei che hanno incassato un 50% in più del 2013.

Nei primi giorni dell’anno ero in Francia e ho letto sui quotidiani francesi i dati relativi al mercato cinematografico transalpino. Questa è la notizia che in Italia non è arrivata: un successone nell’annata 2014, che si colloca al terzo posto nella graduatoria generale, dopo il 2011 che usufruì degli incassi strepitosi di Quasi amici e dopo il mitico 1961 che è l’anno d’oro del cinema francese e che si usa come metro di paragone. Ma il ’61 era un’altra epoca, un altro mondo e il cinema era un’altra cosa, non solo in Francia.

Il boom delle presenze del 2014 vede un aumento della quota del prodotto nazionale e di quello europeo a scapito di quello americano. Ora, tanto per evitare equivoci e sospetti di snobismo, non è certo il cinema d’autore a garantire questi risultati. Un grande contributo viene dal successo di una commedia popolare, Qu’est-ce qu’on a fait au bon Dieu?, ricca di stereotipi e di luoghi comuni ben assortiti. Ma accanto alle commedie circolano film che si fatica a immaginare nelle nostre sale. Faccio solo un esempio: quello di Timbuktu, opera di un autore di origine mauritana, Abderrahmane Sissako, che racconta con grande maestria quello che sta accadendo nel Mali occupato dai jihadisti. Ne ha parlato Curzio Maltese in prima pagina di Repubblica e di questi tempi la visione di un film del genere vale, sul piano dell’informazione, cento volte più di tutti i talk show che ci sono stato inflitti dopo i fatti parigini e delle citazioni dei testi della Fallaci.

Ma non mi risulta che sia in arrivo in Italia. Insomma: anni di buona politica culturale con la protezione del prodotto nazionale e l’attenzione a quello europeo e anche extraeuropeo (in Francia circolano liberamente film canadesi, norvegesi e brasiliani), uniti alla protezione tout-court del cinema dall’invadenza televisiva, hanno dato i loro buoni frutti.
Ora io capisco benissimo che sperare in una prospettiva di questo tipo nel nostro paese è impossibile, sia per incapacità sia per mancanza di buona volontà di chi governa le cose. Ma almeno farci sapere che questa prospettiva esiste, che non è utopia, che si può guardare a un mercato cinematografico in crescita, che non è necessariamente quello americano con tutta la sua insopportabile paccottiglia, ecco, almeno questo sarebbe doveroso.

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