La soluzione è vicina. Il conflitto aperto molti mesi fa a Milano tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo Edmondo Bruti Liberati si sta avviando verso una composizione che non sia umiliante né per l’uno, né per l’altro. Ma che non sia neanche pilatesca o che lasci la procura nella palude della non-decisione. Robledo potrebbe accettare di andare a Venezia, a fare il sostituto procuratore generale. Ma “in applicazione”, cioè soltanto per un anno. Pronto a tornare a Milano non appena Bruti Liberati lascerà, nel dicembre 2015, la poltrona di procuratore per andare in pensione.

Il mediatore che ha confezionato questa soluzione è Giovanni Legnini, avvocato, politico del Pd, dal 30 settembre 2014 vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Ha ascoltato i duellanti e si è proposto come regista di un esito che non umili, ma neppure blocchi la procura più importante d’Italia. Per l’anno che gli resta prima del pensionamento, Bruti Liberati potrà guidare l’ufficio senza essere sottoposto a snervanti esami da parte del Csm. E senza l’ombra di Robledo proiettata sul quarto piano del Palazzo di giustizia milanese. Allo scoccare dell’anno, lascerà il posto senza accettare altre eventuali proroghe. Ora si è assunto anche il compito di coordinatore del dipartimento reati contro la pubblica amministrazione, quello che è stato il pool Mani pulite e che fino a qualche mese fa era guidato da Robledo.

Presto Bruti sarà in grado di incaricare un nuovo coordinatore, non appena sarà nominato a Milano un nuovo procuratore aggiunto. Ma la nomina – prevede il Lodo Legnini – dovrà essere provvisoria, in modo che il posto possa poi essere ripreso da Robledo. Questi accetta di togliersi di mezzo, per andare alla procura generale di Venezia, ma senza un “trasferimento”, che durerebbe almeno tre anni, dunque fino a fine carriera. L’ “applicazione” è invece a tempo e gli permetterebbe di tornare, tra un anno, a guidare il dipartimento da cui Bruti lo aveva sollevato dopo le polemiche e gli esposti al Csm.

Se la soluzione va in porto, Robledo potrà dirsi soddisfatto, anche perché l’ha raggiunta senza la negoziazione con le correnti della magistratura, che ha sempre criticato, ma con la sola mediazione del vicepresidente del Csm. Inoltre potrà portare a casa il riconoscimento di aver posto davanti al Consiglio superiore della magistratura non un problema personale, non un conflitto che lo oppone al collega Bruti, ma una questione che riguarda l’organizzazione delle procure, la loro gerarchizzazione, i poteri del procuratore, in ultima istanza le regole della giurisdizione e l’autonomia del magistrato. Per questi motivi Robledo rivendica di aver portato davanti al Csm i suoi esposti che criticavano i criteri, ritenuti discrezionali, con cui il procuratore assegnava i fascicoli e gestiva le inchieste. Funzionerà il Lodo Legnini? Lo sapremo nei prossimi giorni.

il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2015

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