Noi non siamo lo Charlie Hebdo. Siamo un giornale d’informazione. Anche per questo chi ha acquistato in edicola l’edizione cartacea del nostro quotidiano ha trovato in allegato il nuovo numero del settimanale satirico francese.

La decisione di pubblicare lo Charlie, infatti, non nasce solo dal bisogno di far sentire in maniera tangibile la nostra vicinanza ai colleghi francesi uccisi dai terroristi e dalla volontà di riaffermare il diritto alla libertà di parola e di pensiero.

Alla base della scelta c’è pure un dovere. Quello di diffondere, se si è giornalisti, notizie. E per noi il contenuto integrale del nuovo numero della rivista, gli articoli, le vignette degli autori ammazzati dagli jihadisti e di quelli sopravvissuti al massacro, sono una notizia. Sono un pezzo importante di una storia tragica che Il Fatto Quotidiano – sia sulla testata cartacea sia su quella online – ha seguito dall’inizio e che vuole raccontare fino in fondo.

Nel mondo, in altri giornali sono state prese strade diverse. A volte si è deciso di non pubblicare nel timore di urtare la sensibilità religiosa dei lettori di fede musulmana, a volte le vignette sono state prima visionate e poi accuratamente selezionate o più semplicemente – nella maggior parte dei casi – si è girati al largo da Charlie per prudenza: per non mettere a rischio le vite di giornalisti e collaboratori o le sedi delle varie redazioni.

Al New York Times, dove si è addirittura scelto di non mostrare l’immagine della copertina del settimanale con Maometto in lacrime, è così intervenuto il garante dei lettori Margaret Sullivan: “Il valore di notizia dell’immagine avrebbe dovuto prevalere”, ha scritto la Public Editor criticando la decisione del direttore e ricordando i ragionamenti fatti in redazione sulla sicurezza dei corrispondenti esteri. “Posso capire”, ha aggiunto, “perché il Times dopo le stragi non abbia stampato le immagini più incendiarie di Charlie Hebdo…la nuova copertina però è una parte importante della storia che negli ultimi giorni ha catturato l’attenzione del mondo. E se la vignetta può disturbare le sensibilità di una piccola percentuale dei nostri lettori, non è né scioccante né gratuitamente offensiva. E ha un significativo valore come notizia: come tale avrebbe dovuto essere pubblicata”.

Queste considerazioni qui le condividiamo in toto. E lunedì 12 gennaio con il direttore dell’edizione cartacea, Antonio Padellaro, prima ancora che Margaret Sullivan prendesse pubblicamente posizione, le abbiamo estese, per solidarietà e completezza d’informazione, a tutto il nuovo numero di Charlie. Perché come scrive Horacio Verbitsky in “Un mondo senza giornalisti“: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia”. E noi del Fatto siamo e saremo qui sempre per questo.

Ps: Il Fatto Quotidiano ristampa e diffonderà di nuovo lo Charlie Hebdo andato esaurito in tutte le edicole italiane.

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