Per l’Italia, dopo anni di cassa integrazione, che la Fiat assuma oltre 1.000 addetti, anche se con contratti a termine, è una notizia. In Europa e nel mondo non è una novità che, grazie a modelli che “tirano”, i costruttori debbano ingaggiare nuovo personale in alcune delle loro fabbriche. Per esempio in Messico (il nuovo Eden dell’industria dell’auto ed ormai nella top 5 delle nazioni che esportano vetture), solo in ordine tempo, Mazda ha cominciato a produrre veicoli destinati anche all’Europa e Bmw ha investito un miliardo di dollari per uno stabilimento che porterà 1.500 nuovi posti di lavoro. E anche nell’Europa dell’Est qualcosa si muove: in Polonia, a Białężyce, Volkswagen ha appena posato la prima pietra di un sito per la fabbricazione di veicoli commerciali – tra cui l’erede del Crafter – che dovrebbe valere almeno 3.000 nuovi posti di lavoro. Sempre in Polonia, a Gliwice, la Opel realizza la cabrio Cascada, che verrà venduta anche negli Stati Uniti ed in Australia e che consentirà di saturare la produzione.

In Europa occidentale, la saturazione della capacità produttiva è uno dei grandi obiettivi dei costruttori, soprattutto per i francesi (in particolare per PSA Peugeot-Citroën), gli italiani e per la Opel: insomma, sfruttare al massimo gli stabilimenti che hanno resistito alla crisi. Dopo aver delocalizzato le produzioni, ridotto gli organici e costretto alla flessibilità i lavoratori, adesso il rischio è quello di dover “rincorrere” un mercato in parziale ripresa: in Germania l’eccessivo uso degli interinali è già finito sotto accusa. Quasi tutti i costruttori hanno annunciato vendite record per il 2014: spiegare perché assumono diventa facile.  Ma per molti metalmeccanici i sacrifici non sono finiti, nonostante nel complesso l’auto faccia bene all’economia: nel Vecchio Continente vale 13 milioni di posti di lavoro (il 5,3% della popolazione attiva dell’Unione Europea, fa sapere l’associazione dei costruttori Acea) con entrate fiscali pari a 387 miliardi di euro nella sola Europa a 15.

Proprio nel giorno in cui è arrivato l’annuncio di Fiat Chrysler Automobiles per Melfi, Jaguar Land Rover ha ufficializzato la prossima creazione di altri 1.300 posti di lavoro nel Regno Unito. Nel giro di quattro anno l’organico è lievitato di 10.000 unità raggiungendo quota 32.000. Con l’arrivo degli indiani di Tata, gli investimenti sono schizzati (solo per l’anno fiscale 2014/2015 sono 3,75 miliardi di sterline, quasi 4,8 miliardi) e le vendite sono praticamente raddoppiate dal 2008 in poi sfiorando quota 463.000 nel 2014. Il successo della Evoque ed il rilancio di Jaguar, che nel 2016 commercializzerà un nuovo crossover, F-Pace, sono le chiavi del ritrovato vigore dei due marchi che Ford aveva venduto a prezzi di saldo.

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Anche marchi di nicchia e di lusso come Aston Martin e Bentley assicurano nuovi posti di lavoro. Il brand reso celebre dalla saga di James Bond ed un po’ “italiano” per via di Maurizio Bonomi che con il suo fondo Investindustrial lo controlla, ha varato un piano da 640 milioni di euro per ampliare gamma e produzione con un aumento dell’occupazione stimato in 250 unità. Bentley, uno dei marchi della galassia Volkswagen, in vista dell’offensiva di prodotto legata in particolare al nuovo e atteso Suv, ha programmato la creazione di 150 nuovi posti di lavoro, di cui 90 riservati ad ingegneri. Il lusso fa bene anche all’occupazione in Italia e non solo grazie a Maserati e Ferrari: la Lamborghini ha assunto 100 persone nel corso del 2014.

Perfino la Peugeot, lo scorso anno, trascinata dal successo della 2008, è stata costretta non solo ad aggiungere turni di produzione nell’impianto francese di Mulhouse, ma anche ad ingaggiare 200 nuovi addetti. Anche in Germania, dove la Opel ha sacrificato uno stabilimento e Ford ha evitato di farlo ma solo grazie alla rinuncia ad alcuni benefit da parte degli addetti, l’auto crea lavoro. La Porsche aveva avviato nel 2013 una vasta operazione di reclutamento a Lispia per un totale di mille addetti, che secondo Bloomberg potrebbero diventare 5.000 entro il 2019. E Daimler, che pure sta cedendo una parte di filiali dirette in Germania (si parla di 56 per un totale di 340 posti) e chiuderà una fabbrica di batterie (investendo su un altro stabilimento), ha concordato con i sindacati l’ampliamento dell’organico a Sindelfingen: 150 apprendisti e 100 unità in pianta stabile.

 

 

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