L’Antiterrorismo all’interno dell’Antimafia. Le stragi di Parigi impongono anche scelte strategiche nella lotta contro il terrorismo. “È emersa unanime esigenza di un coordinamento e la convinzione che prevale è che si possa realizzare non con un nuovo organismo ad hoc ma presso la Procura nazionale antimafia (Dna)” dice il ministro della Giustizia, Andrea Orlando al termine della riunione col collega Alfano e i capi delle procure. “Si va verso – ha detto Orlando – un’articolazione territoriale non rigida” quindi che non replichi, ha spiegato in sostanza il ministro, le direzioni distrettuali antimafia già esistenti. Quanto alla possibilità di creare la figura di un procuratore nazionale “non siamo arrivati a questo grado di dettaglio ma si va in questa direzione”.

Sull’istituzione di una procura nazionale antiterrorismo il Governo presenterà un proprio testo e intende “avocare a sé la definizione del progetto normativo della struttura”. Alla domanda se ci sarà un decreto legge, il ministro ha risposto “non è escluso che possa essere una via, anche se di fronte alla necessità di approfondimento abbiamo sempre lasciato parola al Parlamento”. Sul terrorismo “il livello di rischio è alto: abbiamo visto quali sono le nuove modalità di manifestazione legate non più a grandi reti ma a cellule difficili da individuare“.

“Il rischio aumenta – ha aggiunto il ministro – per la difficoltà di definire a livello europeo una normativa omogenea e di dare forza ad un livello sovranazionale. Durante il semestre di presidenza europea, l’Italia ha spinto per un’armonizzazione della normativa e per uno spazio di giustizia europea”. Interpellato sui rapporti tra criminalità organizzata e cellule terroristiche, Orlando ha risposto che il rischio esiste “in termini generali perchè c’è un’attività per reperire risorse che insiste sulla criminalità organizzata, ma non riguardo a fatti specifici”.

Allo stato sono diverse le indagini su decine di soggetti a rischio, uomini e donne che vivono, e spesso lavorano, in Italia e che potrebbero trasformarsi in potenziali jihadisti. Un lungo elenco quello che antiterrorismo e intelligence aggiornano costantemente per cercare di evitare attacchi come quelli che hanno sconvolto la capitale francese.

Tra loro, dicono quelli che da tempo sono sulle loro tracce seguendone i movimenti, anche sul web, ci sono magrebini tra i 25 e i 35 anni, marocchini, algerini e tunisini in Italia da qualche anno, ma anche italiani convertiti all’Islam, migranti di seconda generazione, spesso giovanissimi, veterani delle guerre di Bosnia e Afghanistan tornati nel nostro paese negli anni scorsi e che potrebbero ripartire per i fronti della Siria e dell’Iraq, predicatori. Né da parte di questi soggetti, né dalle informative dei servizi esteri, ribadiscono fonti qualificate, arrivano segnali concreti di progettualità in corso o elementi che possano far ritenere che sia in atto la pianificazione di una azione sul nostro territorio. Ma questo non vuol dire nulla per chi deve fare prevenzione. Perché chi indaga sa bene che ciascuno di loro potrebbe “attivarsi” da un momento all’altro, senza bisogno di un input preciso.

Le indagini puntano dunque a tenere sotto costante osservazione i loro movimenti e a capire se siano affiliati ad organizzazioni terroristiche, cercando di mettere in luce i loro rapporti con l’Isis o altre formazioni estremiste e tracciare le rotte dei miliziani che intendono combattere la guerra santa in Europa. Un coordinamento a livello centrale tra procure consentirebbe, con lo scambio di informazioni, di agire e indagare in maniera ancora più efficace.

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