Giorgio Napolitano scende nel cortile del Quirinale e si dimette, ma di quello che aveva promesso di fare nell’accettare l’anomalia costituzionale del secondo mandato, lascia ben poco. Il professor Gianfranco Pasquino, politologo di area Pd, ma non gradito al corso renziano, con grande fatica (è amico del presidente) dice che il Napolitano bis è stato un fallimento, senza se e senza ma. Ha fallito sostanzialmente nell’affidarsi, secondo Pasquino, a mani cialtronesche, aspettarsi atti politici da chi della politica, nel senso più alto del termine, se ne frega. Ha forzato quelli che erano i suoi poteri, ha forzato la mano: ha imposto al Paese tre governi da lui concepiti: quello di Mario Monti, uno dei più disastrosi della storia repubblicana, quello presieduto da Enrico Letta e, a seguire, il corso renziano che, probabilmente è sfuggito anche alle mani di un Napolitano, ormai stanchissimo per raggiunti limiti di età. Non può che essere stanco uno che definisce il Quirinale “anche una prigione”. La metafora del presidente costretto non regge neanche per battuta.

Dunque lascia, ma anche questo lo fa in maniera anomala. Non ha mai annunciato le dimissioni, almeno fino alla fine. Ha scatenato il ciarpame parlamentare, senza smentire o precisare fino a quando ha potuto farlo. Definire il suo mandato e il suo stile è difficile. Ma non si può dire, come invece circola nelle parole delle migliori menti del Paese, che abbia difeso la Costituzione. Come si può dire una bugia del genere quando è Napolitano stesso quello che ha voluto, e segnato il suo mandato, una riforma che fa carta straccia di un terzo della Costituzione? Sarà anche la strada giusta, ma non è questa la volontà degli elettori.

Dobbiamo ringraziarlo? Difficile da stabilire anche questo, visto che il suo secondo mandato non era negato, ma neanche previsto, oltre ad aver sempre assicurato, fino allo scadere, che lui lasciava. Si chiamano bugie. Carlo Azeglio Ciampi si trovò più o meno nella stessa condizioni, ma gli ultimi sei mesi del suo mandato lavorò perché non ci fosse alcun bis. Napolitano invece ha negato e si è fatto rieleggere, ha trasformato l’arbitro che oggi invoca Matteo Renzi in un soggetto politico. E per questo oggi è così difficile eleggere il suo successore. Napolitano ha aperto una terza via, incostituzionale, e trasformato la repubblica parlamentare in una Repubblica semipresidenziale e imperfetta. Ecco perché è lecito che qualcuno si unisca al coro dei pochi: ha fallito. E chi lo potrebbe salvare, ancora una volta, si chiama Silvio Berlusconi. Già perché Berlusconi ha in tasca una sola carta da spendere e coincide con quella di Napolitano e porta il nome di Giuliano Amato. Sarebbe lui la protesi di quello che abbiamo già visto e vissuto e forse quello di cui questo Paese malandato non avrebbe bisogno.

Le carte a questo punto può sparigliare solo Beppe Grillo. Questa volta senza ostinarsi a ripetere quello che la Rete gli sussurra. Vada da Renzi e si dica disposto a votare Romano Prodi: in un colpo solo salterebbe quello che resta del patto del Nazareno e spaccherebbe un Pd e una sinistra (chiamiamola così, per abbreviazione) già in frantumi.

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