Dice il libraio musulmano che “la guerra c’è sempre stata, anche a Parigi, solo che ora gli islamisti vanno di moda, sono fashion. Chi lo dice che gridavano Allah Akbar? Che volevano ‘vendicare il profeta’? Davvero mentre sparavano hanno raccontato la loro vita? Lo dite voi dei media, io aspetto a valutare”. 

Dice il prete ultra tradizionalista che “la guerra è in casa nostra perché c’è stata troppa tolleranza. Se lo Stato non impara a difenderli, i cittadini si difenderanno da soli, anche con le armi”. Di qua c’è il libraio della rue J.p. Timbaud, uno dei tanti librai musulmani di questa strada sul fianco sud di Belleville, metro Couronne, dove le macellerie sono tutte halal e anche gli altri negozi, per lo più, sono gestiti da musulmani, magari accanto a ebrei e ora anche a molti cinesi, in un quartiere ormai fighetto più vicino al centro che alle banlieue difficili, ma non lontano dalle moschee in odore di salafismo del XVIII e del XIX arrondissement, estremo nord della città. Sono qui anche le Buttes Chaumont dove si riunivano i giovani magrebini arrestati nel 2008 perché organizzavano i combattenti per l’Iraq: tra loro, poi condannato, c’era anche Cherif Kouachi, il minore dei fratelli sospettati della strage nella redazione di Charlie Hebdo.  

Di là, a qualche chilometro, sulla rive gauche, quartiere latino, c’è il prete, parroco di Saint Nicolas de Chardonnet, la chiesa preconciliare, gregoriana, lefebvriana, punto di riferimento del movimenti contro le unioni civili e i matrimoni gay. “Non scriva il mio nome, la prego”, chiede il sacerdote. Lo chiede anche il libraio. “Vede, qui vengono fedeli anche dalle banlieue più lontane”, racconta.  

La messa in latino, col prete che guarda l’altare di spalle ai fedeli, val bene un viaggio a Parigi. “Se vengono alla funzione serale – racconta il sacerdote – sono in due, tre, rientrano insieme per non farsi aggredire dai magrebini tra la stazione e il portone di casa. Ma il problema non è l’Islam, certo è una religione più aggressiva della nostra ma questi sono banditi, vagabondi. Il problema siamo noi che non ci difendiamo”. Spunta dopo la messa una signora sulla sessantina, vive appunto nella banlieue nord, Saint Denis, terra d’immigrazione araba e musulmana da decenni, ma anche roccaforte comunista finché è durato il Pcf. “Cosa fare per evitare un massacro come quello di ieri? Bisogna chiudere le frontiere – taglia corto la donna -. Ma non lo farà nessuno, vedrà, anche il Front National si è ammorbidito e intanto noi abbiamo solo rom, clandestini, arabi, africani, gli paghiamo anche i sussidi. A me invece, che sono infermiera, vogliono mandarmi in pensione, a 64 anni, per assumere qualcun altro che non sa seguire un malato. La Francia è finita”.  

A Belleville, come altrove, se entri nei negozi dei musulmani e fai mezza domanda ti rispondono male oppure dicono subito: “Io sono contro”, la parola d’ordine è pas d’amalgame, non fate d’ogni erba un fascio. Qualcuno si è tagliato la barba. C’è la paura della caccia all’islamico, come altrove c’è la paura dell’islamico. Nei bar si sente dire anche che “insomma, non si scherza con la religione, Charlie Hebdo esagerava un pochino” – e su questo sono d’accordo anche a Saint Nicolas, dove non hanno apprezzato la satira anticattolica – ma “non si ammazza la gente in quel modo”. Altri non vogliono parlare: si tratti di imam, giovani banliusards o associazioni religiose. Il libraio resta sulle sue: “Certo, sono contro gli Usa che venuta meno l’Urss avevano bisogno di un nemico verso il quale rivolgere le armi che producono. La guerra c’è sempre stata, anche qui a Parigi, sì, voi dite che non è mai accaduto niente di così grave come a Charlie ma non ricordate gli algerini buttati a centinaia nella Senna nel ’61, non ricordate Charonne, non ricordate i generali dell’Oas che volevano ammazzare de Gaulle per l’Algeria francese… Partono combattenti dall’Europa per la Siria o l’Iraq? Non so. Ma la guerra c’è pure in Ucraina e ci sono francesi che partono per combattere, sia con i filo russi che con gli ucraini. Perché i media non ne parlano? Perché i media non parlano del terrorismo in Iran e di chi lo finanzia?”.

di Alessandro Mantovani, inviato a Parigi
da il Fatto Quotidiano del 9 gennaio 2015

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