Il cedimento del viadotto Scorciavacche è paradigmatico di una confusione giuridica che non consente a capaci professionisti e adeguate imprese di costruzione di ben operare.

Mi occupo solitamente di Beni Culturali ma poiché la normativa che regolamenta la progettazione e realizzazione di un’opera pubblica è la medesima, sia essa una strada o un palazzo storico, le conseguenze, in caso di inettitudine o malaffare, sono identicamente catastrofiche.

Chi ha un po’ di anni di esperienza ricorderà e di conseguenza avrà operato per decenni attraverso i disposti del Regio Decreto 350 del 1895 valido sino alla emanazione della cosiddetta Legge Merloni del 1994, regolamentata nel 1999.

Per più di un secolo ingegneri ed architetti, uniti anche da uno stesso tariffario determinato da una splendida Legge, la 143 del 1949, hanno quindi operato con il Testo unico dei Lavori Pubblici che prevedeva con chiarezza e semplicità tutti i passaggi di una corretta progettazione, direzione lavori e collaudo. I criteri della corretta progettazione, per chi è addetto ai lavori non sono dissimili da quelli odierni, salvo le modalità ed innovazioni tecnologiche. Quello che stupisce, rileggendola, era il richiamo alla diligenza ed al risparmio, citando testualmente l’art. 2: ‘I progetti saranno sempre ispirati al concetto di soddisfare tutte le esigenze della stabilità e dell’estetica, esclusa dai medesimi, a meno che non sia stato disposto diversamente, ogni idea di lusso’.

I concetti di cura, diligenza ed attenzione vengono ripresi frequentemente come condizione essenziale del buon risultato.

Con l’entrata in vigore della citata Merloni viene sancita viceversa la rilevanza economica del soggetto operante nella progettazione, dando molto spazio alle Società d’Ingegneria e alle cordate, anche temporanee, di progettazione; con vari ed alterni passaggi e diatribe con la Corte CE si arriva al Codice dei Contratti Pubblici del 2006 e poi al suo regolamento attuativo del 2010 eliminando infine con il Decreto Bersani la Legge 143 del 1949 a favore del libero (o cosiddetto tale) mercato ed entrando di fatto nella giungla legislativa.

Con vari alibi del ce lo chiede l’Europa si sono radicati i principi non della qualità progettuale, ma del più forte economicamente, essendo stabiliti dei criteri di selezione dei candidati per partecipare alle gare di progettazione (pur se modeste) con fatturati da multinazionali obbligando così ad una corsa all’accumulo compulsivo di incarichi. Di conseguenza anche i collaudatori, scelti con lo stesso principio e quindi più accumulo di fatturati che reale competenza e preparazione, sovente emettono disinvolti quanti frettolosi certificati.

Nessuno si è mai chiesto se progettare un’opera, sia esso un ponte o il restauro di un edificio richieda tempo, impegno, fatica, aggiornamento e che non è umanamente quanto tecnicamente possibile anche se archistar o superman gestire venti o più progetti da un capo all’altro dell’Europa senza errori e omissioni?

Mentre poi pochi fortunati partecipano a gare ristrettissime e su invito, una fascia più ampia tenta la sorte come al super enalotto, cercando di mantenersi a galla, pagando tasse, cauzioni, fideiussioni, assicurazioni e offrendo alla fine ribassi inverecondi sino all’80% per aggiudicarsi il bando.

Sino a quando le Leggi non privilegeranno il criterio dell’etica, della qualità progettuale e non del fatturato dello studio e poi dell’offerta al massimo ribasso, molti errori e molti disastri ricadranno ancora sul Bel Paese devastando ancor più il territorio e la sua bellezza.

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