L’ingegneria finanziaria, dopo aver contaminato, avvolto e talvolta travolto i più svariati settori produttivi, si prepara ora a sbarcare anche nel Terzo Settore. Sembrerebbe questa la chiave di lettura della nomina di Vincenzo Manes a consulente personale del premier Matteo Renzi in campo sociale. Manes, a quanto è dato sapere, punterebbe a dare vita, nei prossimi mesi, ad un fondo a capitale misto pubblico-privato: una sorta di riedizione dell’Iri, ma con specializzazione nel sociale. Una operazione, questa, che dovrebbe prevedere ampio utilizzo di tecniche di ingegneria finanziaria. E questo potrebbe spiegare, più di ogni altro motivo, il perché la scelta di Renzi sia caduta sul terzo maggiore finanziatore della fondazione Open e non su personalità con competenze decisamente superiori a quelle di Manes in materia di welfare.

Perché Vincenzo Manes, prima ancora che uno dei principali fautori dell’iniziativa filantropica Dynamo Camp, è soprattutto un grande conoscitore dei meccanismi di funzionamento dell’alta finanza, di cui è profondo cultore. Una cultura affinata certamente anche grazie alla storica alleanza affaristica con Ruggero Magnoni, già vicepresidente di Lehmann Brothers Europa, finito, nell’ambito del crac Sopaf, agli arresti, poi revocati, con l’accusa di associazione a delinquere, frode fiscale, appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta.

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Manes, assieme a Magnoni, è infatti diventato in pochi anni, grazie ad una serie di operazioni societarie di apprezzabile finezza finanziaria – ora impugnate da alcuni soci di minoranza – azionista di riferimento della società quotata in borsa Intek Group. In particolare, Manes e Magnoni sono i soci principali di una holding con sede in Olanda (Quattroduedue Holding B.V., ndr), che del capitale di Intek Group detiene il 45,76%. Nella società olandese Manes ha il 35,12% delle quote, un fondo (Hanseatic Europe S.a.r.l. ndr) con sede in Lussemburgo e propaggini anche alle Bermuda il 32,44% e il restante 32,44% è in capo alla Likipi Holding S.A. “Quest’ultima è, come noto, la società che ha in pancia le partecipazioni della famiglia Magnoni, che da decenni è al centro di grandi manovre finanziarie”.

Negli ambienti meneghini della finanza che conta, è risaputo come il collante tra Ruggero Magnoni e Vincenzo Manes sia stata proprio la passione per l’ingegneria finanziaria. Quella stessa che è stata in un primo tempo alla base della scalata di Manes – attaverso la sua “piccola” finanziaria Intek – della Gim (Generale Industrie Metallurgiche), poi divenuta Kme. E da cui successivamente ha tratto origine una articolata ristrutturazione societaria di Intek e Kme, condotta tra il 2005 e il 2012. I cui effetti, come è facilmente riscontrabile visionando i bilanci degli ultimi esercizi, si sono riverberati più sugli assetti proprietari che sulle performance di borsa e gestionali. Perchè Manes e Magnoni hanno accresciuto pesantemente il proprio controllo su Intek Group, mentre i conti della società quotata in borsa sono divenuti sempre più pericolanti. Il debito, dal 2011 al 2013 è quasi raddoppiato, toccando quota 367,2 milioni; le perdite, nello stesso arco temporale, sono state complessivamente pari a 121 milioni di euro; il volume di affari è passato da 3 a 2,3 miliardi; mentre la capitalizzazione in borsa è scivolata da 158 a 131 milioni. Senza considerare che anche le operazioni di diversificazione “produttiva” tentate negli ultimi anni con investimenti nel settore delle energie rinnovabili (Ergy Capital Spa) e della gestione dei rischi associati al possesso, alla proprietà ed all’utilizzo degli autoveicoli (Cobra A.T. SpA), si sono rivelate un flop. In tutto ciò una voce “fuori dal coro” ha spiccato. Si tratta dell’appannaggio di Manes, che nel solo biennio 2012-2013, ha avuto un incremento “anticiclico”, di poco inferiore al 30%, raggiungendo quota 1,14 milioni di euro.

“Credo che un fondo a capitale misto sia la soluzione per avviare una nuova strategia di crescita e sviluppo. Per il terzo settore e non solo” ha detto Manes nel dialogo con ilfattoquotidiano.it. Ecco, c’è da sperare che la strategia per il sociale immaginata da Manes abbia esiti diversi dalle operazioni di alta ingegneria finanziaria che vennero presentate nel 2012 ai soci di Intek come la via per conseguire una “valorizzazione dinamica dei singoli asset […] con una focalizzazione accentuata sulla loro capacità di generazione di cassa o su quella di accrescimento del valore azionario”.

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