“Appare francamente difficile non immaginare che effettivamente i vertici della giunta regionale ignorassero sia le anomalie di bilancio e le perdite accumulate (…) sia la consistente crisi di liquidità di alcune aziende sanitarie ed il progressivo allungamento dei tempi di pagamento dei fornitori”. Lo scrive un giudice nella sentenza di assoluzione in rito abbreviato di Vito Antonio Delvino, ex direttore generale dell’Asl di Massa Carrara, accusato di falso in atto pubblico per un mai buco da circa 240 milioni di euro, provocata (in parte) da una gestione “allegra” dell’azienda, con fondi finiti nell’acquisto di auto, rolex, cani di razza e addirittura un allevamento di cavalli, con tanto di parentopoli. A denunciarlo, nel 2010, fu il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi – assessore regionale alla sanità dal 2000 al 2009 – finito poi nel registro degli indagati per falso ideologico. Proprio i vertici della Regione, secondo il gup Alessia Solombrino, non solo erano a conoscenza dei bilanci “strani” dell’Asl di Massa Carrara, ma avrebbero portato in luce il buco “facendo ricadere la responsabilità su singoli personaggi” per non incorrere nel rischio di sanzioni “con l’avvento di un più penetrante sistema di monitoraggio dell’equilibrio economico-patrimoniale delle aziende del servizio sanitario regionale”. E a dimostrarlo, secondo il giudice, sarebbero anche tre intercettazioni del 2012 tra Rossi e, rispettivamente, Daniela Scaramuccia, assessore alla Sanità dal 2010 al 2012 e Edoardo Michele Dajno, direttore generale diritti di cittadinanza e coesione sociale della giunta regionale.

Il governatore respinge le accuse e ribadisce: “Appena sono venuto a conoscenza che il bilancio della Asl di Massa era stato alterato intenzionalmente per dimostrare un bilancio fittizio mi sono immediatamente recato alla Procura della Repubblica per sporgere denuncia. Credo che nel panorama nazionale sia l’unico caso tra gli amministratori della cosa pubblica, quella di chi a fronte ad una situazione non chiara consegna tutto all’autorità giudiziaria”.

L’inchiesta era scaturita da una denuncia di Rossi il 20 ottobre 2010, che denunciava un buco di bilancio stimato inizialmente in circa 60 milioni di euro. Le successive indagini della Guardia di Finanza appurarono un dissesto finanziario molto più pesante, fino oltre 240 milioni di euro, maturato in più anni di gestione, dal 2005 al 2009. Un crac che ha gettato il sistema sanitario locale nel baratro, con tanto di lavori di ristrutturazione bloccati, difficoltà a pagare gli stipendi, servizi ai cittadini tagliati. Nel 2012 arriva l’arresto dei primi tre indagati. Sono Ermanno Giannetti, ex amministratore amministrativo dell’Asl (dal 2006 al 2010) e due ex direttori generali, Alessandro Scarafuggi (dal 2002 al 2007) e Antonio Delvino (2007-2010). Il primo ha emesso falsi mandati di pagamento per oltre 1 milione di euro a favore di creditori dell’Asl 1 per poi intascare lui stesso i soldi. Inoltre avrebbe acquistato rolex, auto di lusso e cani di razza, tipo levrieri. Il primo in parte ha ammesso i fatti contestati ed è stato condannato in rito abbreviato a 5 anni e 6 mesi. Delvino e Scarafuggi invece sono sono stati assolti con formula piena per non aver commesso il fatto. Ma nel frattempo, nel 2012, è finito nel registro degli indagati anche il governatore Rossi. Con lui, in questo secondo filone dell’inchiesta, anche Carla Donati, all’epoca direttore del settore sanitario dell’Asl di Massa e Niccolò Persiani, consulente Asl per la gestione dei nuovi bilanci. A tirare in ballo il governatore era stato Giannetti, il quale ha detto agli inquirenti di aver subito pressioni dal presidente della Regione, quando era ancora assessore alla Sanità, per ridurre la spesa allo scopo di occultare il disavanzo dei conti dell’azienda sanitaria.

Sul governatore Rossi adesso pesa anche la ricostruzione del legale di Delvino che ha parlato di un “disegno articolato dei vertici della Regione mirato a far emergere il macroscopico disavanzo occultato nelle precedenti contabilità della Asl, scaricando su funzionari le responsabilità al fine di allontanare l’attenzione dei veri autori dell’illecito”. Tesi “immeritevole di censura”, secondo il gup Solombrino che sostiene la “forte responsabilizzazione delle Regioni nei bilanci sanitari arrivata con l’intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009”. La Regione, in altre parole, visto il suo ruolo, non poteva non sapere. Le intercettazioni allegate nella sentenza avvallerebbero, secondo questo ragionamento, questa tesi. “Fai un colpetto a Pistoia”, suggerisce il presidente Rossi all’allora assessore alla Sanità Daniela Scaramuccia in una telefonata del maggio 2012 (dopo lo scoppio dello scandalo). “Vabbè – continua – se parli di Firenze va su sette milioni va bene? Pareggi due. E Pistoia ce ne prendi cinque in testa, ‘un succede mica nulla… Son quattro fuori, ma ne hai pareggiate dieci e magari li recuperi distribuendo meno. Massa meno 55 (…) e questa è andata, la Asl di Lucca, se gli dai quello che gli devi dare, pareggia…”.

E ancora spiega al telefono che ai direttori generali bisogna dire così: “Voi preparate i mandati di pagamento perché io vi richiamo e vi appiccico al muro tutti. Vi mando a calci nel culo a casa tanto per esser chiari. E questa storia che noi stiamo soffocando l’economia a causa dei mandati di pagamento… a me ha rotto un po’ i coglioni, ecco, proprio ora basta” e “c’è un solo modo per dimostrare che tutto va bene (…) l’unico modo è pagare”. Conversazioni che secondo il gup dimostrerebbero un “sistema” nel gestire i bilanci. Secondo il governatore Rossi invece il contenuto delle conversazioni “è chiarissimo: mi preoccupo che le Asl effettuino i mandati di pagamento perché, essendo questi la vera misura dello stato di salute dei bilanci, se vengono emessi in tempi corretti, confermano che tutto va bene”.

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