Alcuni pensano che la malinconia sia un disagio, un problema, comunque una molestia. A me invece sembra un sentimento collegato alla coscienza della condizione umana. Ci sono momenti così, come se calasse una leggera nebbiolina e piovesse piano per un po’. Niente temporale, niente alluvione, nessuna tragedia, solo un momento che ha il suo motivo di essere, come la pioggia, e lava la nostra anima aiutandoci a trovare l’energia per andare avanti.

Succede per esempio nei periodi di passaggio della vita, come nell’adolescenza, quando si abbandona per sempre l’infanzia e si brucia dalla voglia di andare avanti e allo stesso tempo si guarda indietro a quei giochi, a quelle emozioni, a quei ricordi perduti per sempre. E sono tanti i momenti di passaggio in una vita, dove qualcosa muore perché qualcosa possa nascere: la maternità e la paternità, per esempio, l’abbandono della casa dei genitori, la fine degli studi, o di una carriera sportiva, la partenza per un altro paese e così via.

Come si può pensare che tutto questo non produca conseguenze psichiche? Oggi nemmeno il medico più organicista riuscirebbe a imputare il “baby blue” delle puerpere o i turbamenti adolescenziali esclusivamente a trasformazioni ormonali. La malinconia ci invade anche quando dobbiamo lasciare una casa dove siamo stati un po’ felici, senza che gli ormoni ne vengano disturbati. O quando un nuovo anno si sovrappone a quello ormai passato.

La malinconia è una necessità esistenziale, e vive anche nell’arte, per esempio nella letteratura russa, o nella musica lusitana, nella poesia di Pascoli o di Leopardi e in certe canzoni. “Yesterday, love was such an easy game to p l ay…”.

Il Fatto Quotidiano, Lunedì 29 dicembre 2014

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