Tre o quattro mesi di tempo. E poi il terzo settore avrà la sua “Iri del sociale”. Ma non un nuovo carrozzone di Stato, bensì un fondo a capitale misto pubblico-privato con una politica di investimento che crei occupazione. Almeno, questo è il progetto su cui è al lavoro Vincenzo Manes, finanziere molisano appena nominato da Matteo Renzi suo consigliere “pro bono” con l’incarico di “far partire il tema dell’innovazione sul sociale, sulla creazione di posti di lavoro legati a una diversa impostazione del terzo settore”. Il compito è delicato. Anche perché il campo d’intervento è vasto: va dalla cultura al welfare passando per l’arte e arrivando fino al turismo. Una sfida piuttosto impegnativa, insomma: ci sono “innumerevoli cose da immaginare” dice Manes raggiunto telefonicamente da ilfattoquotidiano.it. Del resto, per lui, fra i maggiori finanziatori della Fondazione Open del premier, è nella norma muoversi su più fronti in ambiti differenti: la sua Intek, di cui è storico azionista anche il discusso finanziere Ruggero Magnoni, ha ad esempio interessi che vanno dal rame (Kme) alle rinnovabili (ErgyCapital). In più Manes ha un’importante esperienza nel sociale con la sua Fondazione Dynamo che si occupa di implementare progetti “che rappresentino motori di cambiamento per le comunità di interesse” con un approccio di tipo imprenditoriale.

Nella sua visione per il terzo settore si prospetta a stretto giro una grande rivoluzione. Un cambiamento che per Renzi dovrà trasformare il terzo in primo settore produttivo del Paese moltiplicandone valore e occupati (oggi il comparto pesa per il 7% circa del Pil e impiega quasi un milione di persone). La trasformazione, secondo il piano, passerà per la creazione di un grande fondo in cui confluiranno denaro pubblico, soldi privati e contributi di enti e Fondazioni. “Sarà il fondo poi a diventare imprenditore – precisa Manes – Creerà nuova occupazione attingendo anche a risorse comunitarie. Sarà, insomma, una grande Fondazione Italia con un approccio dall’alto verso il basso” che dovrà convivere con la tradizionale frammentazione del terzo settore”.

“Credo che la venture philantropy (cioè l’investimento dei capitali di rischio nel sociale per finanziarie l’avvio di attività e aiutarle a diventare sostenibili con l’obiettivo di averne un ritorno, ndr) possa fare molto. Naturalmente nessuno ha la bacchetta magica – precisa – ma quando il pubblico non ce la fa più a creare occupazione e il privato annaspa, allora è necessario individuare nuove soluzioni per rispondere ai bisogni primari sociali migliorando anche il contesto in cui operano le imprese. Credo che un fondo a capitale misto sia la soluzione per avviare una nuova strategia di crescita e sviluppo. Per il terzo settore e non solo”. Esattamente come, in campo industriale, fece a suo tempo l’Iri, che a suo parere non fu solo un carrozzone pubblico, ma soprattutto “una grande realtà capace di compiere importanti scelte industriali che hanno favorito tutto il tessuto produttivo nazionale”.

Per il successo dell’iniziativa molto dipenderà dalla qualità esecutiva dei progetti del Fondo. “Sarà necessario selezionare personale qualificato che sia pagato il giusto e che sia motivato dal desiderio di partecipare ad un progetto nell’interesse del benessere comune”, prosegue Manes precisando che il fondo dovrà avere un governo societario semplice con la presenza in consiglio di personalità di levatura internazionale. Non resta che chiedersi quali saranno i primi progetti ad essere finanziati? Sull’argomento però il consigliere di Renzi prende tempo. “Ci sono tante cose che mi piacerebbe fare – precisa – Di sicuro per ora posso dire che qualunque sia il progetto su cui si punterà, dovrà diventare un esempio di eccellenza. E’ importante in questo momento storico creare modelli positivi che diventino un riferimento per stimolare nuove iniziative imprenditoriali”. Nelle idee di Manes, quindi, il fondo potrà proliferare solo grazie a risultati concreti che permetteranno di reperire nuove risorse. “In futuro nulla esclude che i fondi possano venire dal 5 per mille o da una lottery fund in stile statunitense”, prosegue.

La valutazione economica e sociale sarà quindi un fattore centrale nel futuro del terzo settore. Ma con quali parametri di misurazione? “Il mio indice è sempre stato quello di negazione. Per la mia fondazione, ad esempio, mi chiedo sempre cosa non ci sarebbe senza Dynamo – chiarisce  – Non ci sarebbe, ad esempio, lavoro per un centinaio di persone, non ci sarebbero mille e duecento ettari di riserva WWF e occupazione per 1.500 persone nell’indotto”. I risultati di Dynamo, rivendica, sono insomma tangibili e positivi, ma il nuovo incarico crea ora inevitabilmente un conflitto d’interessi. “Ma, guardi, la mia Fondazione è già oggi finanziata al 99% da capitali privati estremamente diversificati che peraltro difficilmente si sposterebbero su progetti in parte pubblici– conclude – Onestamente, visto il grosso impegno di tempo che il nuovo incarico richiederà, temo che sarà Dynamo a perderci”.

Articolo Precedente

Tsunami Oceano Indiano, 10 anni dopo. Solidarietà da record per la ricostruzione

next
Articolo Successivo

Il 2015 del terzo settore. Tra promesse tradite e attesa per la riforma

next