“A distanza di tanti anni un mezzo come un traghetto brucia in mare e la tecnologia non è riuscita ad impedire la tragedia; se nel 1991 era capibile, oggi è impensabile”. Loris Rispoli, portavoce dei familiari delle vittime della tragedia del Moby Prince, segue il soccorso al Norman Atlantic con il peso della rievocazione. Il 10 aprile 1991 un incendio scoppiato sul traghetto della compagnia Navarma (oggi diventata Moby), scatenato dalla collisione con una petroliera ancorata nella rada del porto di Livorno, fu causa principale della morte di sua sorella, Liana, addetta alla boutique di bordo, e di altre 139 persone. Da allora Rispoli è in prima linea per ottenere verità e giustizia sulla vicenda, tutt’oggi impunita ed in questa legislatura oggetto di proposte per l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare. Raggiunto da ilfattoquotidiano.it punta il dito contro i sistemi di sicurezza delle navi “dopo la strage del Moby Prince tutti dissero che per noi la sfortuna fu un incendio proveniente dall’esterno della nave, mentre in caso di focolai interni i sistemi di sicurezza avrebbero scongiurato ogni tragedia; sul Norman Atlantic le fiamme sono partite da un solo punto, il garage, e sono state controllate dopo 7 ore, quindi a quasi 24 anni di distanza continuiamo a mettere a rischio la vita di chi naviga”.

“Se il Parlamento approfondisse la nostra storia impareremmo la sua lezione, imponendo normative capaci di prevenire questi disastri”

In questo caso però, il soccorso delle autorità verso la nave incendiata è apparso tempestivo. “E’ vero – concorda Rispoli – è stata messa in campo una macchina enorme, tutto quello che è mancato nel 1991, evidentemente le capitanerie oggi funzionano bene. Se nel 1991 la capitaneria di porto di Livorno avesse svolto a pieno il suo ruolo, qualcuno dei nostri familiari sarebbe vivo”. All’epoca infatti le autorità marittime determinarono nel traghetto la nave investitrice solo un’ora e venti minuti dopo la collisione, nonostante la rada di Livorno fosse occupata da numerose imbarcazioni, dotate di radar. Una componente di diversità tra le due vicende, ripresentatasi anche nel parallelo col disastro del Costa Concordia, pare anche l’evoluzione delle comunicazioni tra imbarcazione in difficoltà e mezzi a terra. “La tecnologia attuale aiuta molto: a bordo tante persone avranno filmato e inviato messaggi, al contrario di quello che successe nel 1991. Allora c’erano alcuni cellulari di prima generazione che non prendevano a pochi metri dall’uscita del porto e un malfunzionamento della radio del traghetto rese poco udibili anche le richieste di soccorso da parte dell’equipaggio”. Loris Rispoli, ci vogliono i disastri per migliorare le cose? “No, non ci vogliono e non ci vorrebbero. La vita umana dovrebbe essere bene supremo. Perciò insistiamo nel dire che ottenere verità e giustizia sul Moby Prince è un modo per far sì che tragedie come queste vengano evitate. Se il Parlamento approfondisse la nostra storia impareremmo la sua lezione, imponendo normative capaci di prevenire questi disastri”.

I due percorsi per l’istituzione di una commissione d’inchiesta avanzano lentamente in Parlamento. A novembre sembrava ad un passo l’avvio dei lavori al Senato, per un’intesa tra le tre forze proponenti (Pd, M5s e Sel), ma la redazione di un testo unificato non è arrivata a compimento a causa dell’occupazione delle commissioni nell’esame della legge di stabilità. Forse la vicenda del Norman Atlantic potrebbe favorire finalmente un’accelerazione.

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