Tra tutte le gocce che potevano far traboccare la pazienza di Tommaso Giulini, a Zdenek Zeman è capitata la peggiore. A segare la panchina del boemo è stata la Juventus, il club amato in gioventù e attaccato dall’estate del 1998. La sconfitta del suo Cagliari contro i bianconeri, l’ennesima in casa, dove non ha mai vinto in quattro mesi di campionato, ha esaurito la pazienza della dirigenza sarda. Una stretta di mano, una lunga discussione perché “è un allenatore speciale”, ha detto il direttore sportivo Marroccu, ma poi le strade si sono comunque separate. Zeman ha spento le fioche luci del suo luna park e ha salutato tutti, dopo l’ultimo allenamento mattutino nel centro sportivo di Asseminello.

L’avventura in terra sarda verrà ricordata solo per il clamoroso 4-1 rifilato all’Inter a San Siro. Sembrava che la giostra iniziasse a girare, invece Zemanlandia non ha mai divertito davvero sull’isola e solo il proseguo del campionato decifrerà se le colpe sedevano in panchina o risiedevano nella rosa. Fatto sta che la situazione critica – 9 punti, appena due vittorie in 16 giornate, rossoblù terzultimi – aveva convertito al pragmatismo persino lui, inflessibile cultore del 4-3-3. Costretto a chinarsi all’esigenza di far legna per costruire la salvezza, giovedì 19 ha affrontato la Juventus con sei difensori e vestito il Cagliari con un insolito 4-4-2. Una sconfessione dell’incrollabile credo ‘prima la prestazione, poi il risultato’. Le tre sberle incassate dall’eterna rivale, che non batte da 16 anni, hanno messo a nudo l’inadeguatezza della scelta e fatto precipitare la situazione, che sarà probabilmente chiamato a risollevare uno tra Walter Zenga, emigrato (ed emirato) di ritorno, o un totem rossoblù come Gianfranco Zola.

Dove andrà e cosa farà ora il boemo è tutto da capire. Perché al fallimento di Cagliari bisogna sommarne un altro recente. Nel febbraio 2013, venne esonerato dalla Roma dopo la clamorosa sconfitta casalinga proprio contro i sardi. Un’avventura segnata anche dal confronto diretto senza storia contro la Juventus, dal quale i giallorossi uscirono con tre gol subiti nei primi venti minuti e un 4-1 mai digerito dall’ambiente. Zeman colse l’occasione di tornare nella Capitale dopo la cavalcata trionfale verso la A alla guida del Pescara, dove ha lanciato talenti come Verratti, Immobile e Insigne. Un gioiello tra tanta polvere mangiata negli ultimi anni. Il Foggia dei miracoli appartiene a un’altra era calcistica, sono un ricordo sbiadito anche le divertenti (ma non vincenti) stagioni alla guida di Lazio e Roma negli anni ’90.

Chissà se esistono ancora i gradoni durante l’intransigente preparazione atletica del boemo. Hanno sempre resistito le convinzioni riguardo la necessità di rivoluzionare l’approccio al calcio, la cultura del lavoro, i problemi legati al ‘sistema’. Argomenti dei quali aveva parlato a Il Fatto Quotidiano in estate. Si era detto anche fiducioso del progetto Cagliari e sperava che sarebbe durato a lungo. E’ già tempo di divorzio, invece. Rispondendo allo sfottò salernitano (“Dopo Salerno, Napoli e Avellino ti resta solo la panchina del lungomare”) disse serafico: “Sul lungomare sono sempre stato benissimo e in silenzio sto divinamente”. Si accenderà un’altra sigaretta, aspettando che il telefono squilli. Sperando che quella di Cagliari non sia stata l’ultima boccata e la figura più romantica e disallineata del calcio italiano negli ultimi vent’anni non scompaia tra le sue volute di fumo.

Twitter: @AndreaTundo1

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