Sino alla fine degli anni 80, prima che le direttive comunitarie modificassero le regole del settore, le ferrovie dei paesi dell’Unione erano monopoli verticalmente e orizzontalmente integrati. Un’unica impresa nazionale possedeva e gestiva sia la rete infrastrutturale che il materiale rotabile attraverso il quale offriva tutti i servizi: passeggeri a media e lunga distanza, passeggeri regionali e metropolitani, merci. Con la progressiva apertura delle reti, richiesta dall’Unione europea, questo modello integrato è stato sostituito da due nuovi e opposti modelli organizzativi.

Nel primo, più radicale, la gestione della rete è stata nettamente separata dall’esercizio dei servizi di trasporto. Questo è avvenuto in Svezia nel 1988 e in Gran Bretagna a metà anni 90, e in tempi più recenti anche in altri paesi tra cui la Spagna. Nel modello più prudente, invece, il gestore della rete è stato separato da un punto di vista societario ma inserito in una holding ferroviaria che possiede anche l’azienda che esercita il trasporto. È il caso della Germania, dell’Italia, con Rete Ferroviaria Italiana da un lato e Trenitalia dall’altro, e, per effetto della recente riforma, anche della Francia.

Vi sono tuttavia due costanti in questi rilevanti processi di cambiamento: 1) la rete ferroviaria è ogni paese a proprietà pubblica; 2) la rete ferroviaria di ogni paese possiede e gestisce tutti gli asset la circolazione dei treni, ivi comprese, ovviamente, le linee aeree delle tratte elettrificate. Desta pertanto un certo stupore l’emendamento alla legge di Stabilità, presentato dal governo, che appare finalizzato a realizzare la cessione a Terna della rete elettrica delle nostre ferrovie. Bisognerebbe in primo luogo che fosse chiarito cosa si intende con esattezza con ‘rete elettrica delle ferrovie’: solo le linee di connessione tra le centrali elettriche e la rete ferroviaria, necessarie per l’approvvigionamento? Oppure anche le linee aeree delle tratte elettrificate che permettono l’erogazione dell’energia ai treni?

Nella prima ipotesi non vi è alcuna obiezione mentre nel caso della seconda sorgono non poche perplessità. Alcune sono di carattere organizzativo: chi farà le manutenzioni delle linee aeree? Gli operai di Terna, chiedendo l’accesso al gestore dei binari RFI, oppure gli operai di RFI per conto di Terna? E in tal caso chi fisserà un equo compenso per tale attività? RFI dovrà fatturare la manutenzione delle linee elettriche a Terna e tale costo sarà incorporato nella tariffa elettrica che le imprese ferroviarie saranno tenute a corrispondere a Terna. Essa sarà tuttavia pagata cumulativamente con la tariffa d’uso della rete ferroviaria e percepita dunque da RFI che dovrà poi riversarla a Terna, trattenendo però gli importi delle manutenzioni. Si tratta di una complessità evitata nell’attuale assetto unitario della rete.

Ma più ancora delle complicazioni organizzative i dubbi maggiori riguardano la compatibilità dell’operazione di cessione con le norme comunitarie. Tutti gli impianti ed elementi per la trasformazione e il trasporto dell’energia elettrica per la trazione dei treni sono considerati elementi essenziali dell’infrastruttura ferroviaria. Inoltre il pacchetto minimo di accesso alla rete che il gestore dell’infrastruttura deve garantire alle imprese ferroviarie include “l’uso del sistema di alimentazione elettrica per la corrente di trazione”. È ammissibile che il gestore della rete sia privato di un elemento essenziale dell’infrastruttura del cui efficace funzionamento è responsabile verso le imprese ferroviarie?

Ulteriore e non secondaria regola comunitaria che sembra non essere stata presa in considerazione è il carattere “non profit” dei gestori delle reti ferroviarie, giustificato dall’obiettivo di contenere i canoni d’uso delle reti per favorirne il massimo utilizzo possibile da parte delle imprese ferroviarie. Infatti l’art. 31, par. 3, della direttiva in precedenza citata così recita: “i canoni per il pacchetto minimo di accesso (…) sono stabiliti al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario”. Tale definizione esclude la remunerabilità del capitale investito negli elementi di rete indispensabili per erogare il pacchetto minimo, tra cui rientrano, come si è visto, quelli necessari per l’erogazione della corrente di trazione.

Se vi fossero dei dubbi riguardo a tale interpretazione è sufficiente leggere quanto diversamente sostenuto poco oltre nella medesima direttiva: “Il canone richiesto per l’accesso agli impianti di servizio (…), e per la prestazione dei servizi in tali impianti non può superare il costo della loro fornitura, aumentato di un profitto ragionevole” (art. 32, par. 7). In sostanza i servizi prestati negli impianti di manutenzione, di pulizia e negli scali merci e di composizione e smistamento dei treni possono dar luogo a un profitto ragionevole, mentre per la circolazione dei treni sulla rete e l’utilizzo a tale scopo delle linee elettriche il profitto è escluso. Tuttavia, poiché è immaginabile che Terna non voglia comprare un asset non remunerabile, dobbiamo dedurre, qualora la rete elettrica di FS che si intende cedere arrivi sino alle linee aeree di contatto, che si intenda remunerare un asset che le norme comunitarie vietano di remunerare?

da il Fatto Quotidiano del 17 dicembre 2014

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