Carlo Ancelotti apre la bacheca per far posto al trentunesimo trofeo della sua carriera e si prende il mondo, con il Real Madrid e a titolo personale. Nessuno prima dell’allenatore reggiano aveva vinto quattro volte l’Intercontinentale, ora Mondiale per Club. Il 2-0 senza storia servito al San Lorenzo si aggiunge al trionfo del 2008 sulla panchina del Milan e alla doppietta ’89-‘90 da giocatore rossonero. È la chiusura naturale di un anno da record con i Blancos, durante il quale ha portato anche Copa del Rey, Champions League e Supercoppa Europea alla corte di Florentino Perez. Agli argentini serviva un miracolo, senza voler scomodare il tifoso Papa Francesco quantomeno sportivo. I numeri della vigilia, del resto, parlavano chiaro. Non solo per il valore delle rose (oltre 600 milioni quella del Real, appena 40 il San Lorenzo) ma anche per come le due squadre sono arrivate al faccia a faccia di Marrakech: le merengues sulla scia di 21 vittorie consecutive, 50 su 62 nel 2014; gli argentini con appena 9 successi dopo la vittoria della Libertadores ad agosto, a causa anche dell’addio di Correa, Piatti e Gentiletti, protagonisti dello storico trionfo nella Champions sudamericana. La finale del Mondiale per Club è stata solo specchio fedele dell’abisso incolmabile.

E infatti pronti-via e il Real va già vicino al vantaggio con Benzema, in leggero ritardo sull’assist di Cristiano Ronaldo. Ancora la punta francese ci prova dopo venti minuti di predominio territoriale ma arido di succulente occasioni. Merito anche del San Lorenzo, che se la gioca come può. Fisico, organizzazione tattica e cuore sono le armi usate dagli uomini di Edgardo Bauza per bloccare lo strapotere tecnico dei Blancos. Una strategia che paga per mezz’ora buona perché sterilizza la fantasia spagnola. Gli argentini però non attaccano mai, lasciando il solo Cauteruccio a cercare fortuna dalle parti di Casillas. Sperare di bloccare i campioni d’Europa con una tattica tanto rinunciataria non è altro che una lenta agonia in attesa del cazzotto del ko. Perché il Real in un modo o nell’altro riesce a trovare lo spiraglio giusto per stordire, prima o poi. Accade a dieci minuti dall’intervallo, dopo lo sfondamento di Bale a sinistra. Torrito ribatte la botta del gallese e dal calcio d’angolo che ne segue spunta la testa di Sergio Ramos, in un sorta di replay del gol che cambiò la storia dell’ultima finale di Champions. È la prevedibile evoluzione di un primo tempo da 67% di possesso palla e zero tiri concessi in cui l’unico neo è l’infortunio di Marcelo.

Quanto accade dopo è ordinaria amministrazione per la squadra più forte del mondo. Il raddoppio arriva senza neanche forzare: ci mette lo zampino Torrito con una papera su una conclusione non irresistibile di Bale in apertura di secondo tempo. Dopo oltre cinquanta minuti, il monologo dei blancos viene rotto dalla conclusione di Kalinski, mentre bisognerà attendere l’ottantesimo per la prima, vera parata di Casillas. Nel finale il San Lorenzo ci prova più volte con Mas e Bufalini, i Galacticos sfiorano il tris con Benzema. Ma la vera ciliegina sarebbe stata una rete di Toni Kroos, giusto premio per lo stratosferico anno solare del centrocampista tedesco che dal 21 dicembre 2013 (Bayern-Raja Casablanca 2-0) tra Monaco, nazionale e Madrid ha vinto sei titoli: 2 Mondiale per Club, 1 Bundesliga, 1 Coppa di Germania, 1 Coppa del Mondo, 1 Supercoppa Europea. Per il Real si tratta invece del 18esimo trofeo internazionale conquistato nella sua storia. È un gradino importante perché permette ai madrileni di affiancare Boca Juniors e Milan. Ancelotti aveva marchiato a fuoco l’ascesa al trono dei rossoneri, in Marocco ha portato un altro club europeo accanto alla sua ex creatura. L’unico re del mondo in solitario resta lui.

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