Gli immigrati sono una delle componenti più vulnerabili della forza lavoro: la crisi economica li ha colpiti più duramente rispetto agli italiani. Ancora più gravi sono state le conseguenze per gli stranieri irregolari. Sale la percezione di precarietà. I risultati di una ricerca su dati del Naga.
di Carlo Devillanova, Francesco Fasani e Tommaso Frattini, 18 dicembre 2014, lavoce.info

L’occupazione degli immigrati

Un recente rapporto del ministero del Lavoro mostra come nel secondo trimestre del 2014 l’occupazione straniera sia cresciuta più di quella italiana sia per quanto riguarda il tasso di occupazione che il numero di occupati. Se questi dati segnalano la vitalità occupazionale della popolazione straniera in Italia, sarebbe erroneo concludere che i lavoratori immigrati stiano soffrendo meno di quelli italiani in questi anni. Al contrario, gli immigrati rappresentano una delle componenti più vulnerabili della forza lavoro: la crisi economica li ha colpiti più duramente rispetto agli italiani. Ancora più gravi sono state le conseguenze per la popolazione straniera irregolare.

L’inserimento degli immigrati irregolari nel mercato del lavoro sfugge per ovvie ragioni alle rilevazioni statistiche. Tuttavia, abbiamo potuto approfondire il tema analizzando una base di dati unica sugli immigrati irregolari nella provincia di Milano, che ci ha permesso di seguire la loro integrazione nel mercato del lavoro nel corso degli ultimi dieci anni (2004-2013). Si tratta dei dati raccolti quotidianamente dal Naga, una Ong milanese che dal 1986 offre assistenza sanitaria gratuita agli immigrati privi di permesso di soggiorno.

Dalla nostra analisi emerge una situazione occupazionale estremamente critica degli immigrati irregolari nel nostro paese a seguito della crisi. Per corroborare le nostre conclusioni, abbiamo integrato l’analisi sui dati Naga con quelli della rilevazione sulle forze lavoro Istat e con l’indagine sugli immigrati della fondazione Ismu.

Iniziamo dalla rilevazione sulle forze di lavoro Istat (Rfl-Istat), disponibile dal 2005. Per rendere i grafici comparabili – gli immigrati hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro sostanzialmente più elevato degli italiani – restringiamo l’analisi alla popolazione attiva. La figura 1 riporta la percentuale di occupati per italiani e stranieri regolarmente soggiornanti. La serie Rfl-Istat mostra immediatamente gli effetti negativi della crisi su tutti i lavoratori (italiani e non), ma con ripercussioni particolarmente negative per gli immigrati. La percentuale di occupati fra gli stranieri attivi si riduce di quasi 9 punti percentuali fra il 2008 e il 2013, passando dal 91,5 per cento all’82,7 per cento. Nello stesso periodo, la differenza nel tasso di occupazione fra italiani e stranieri è aumentata da 1,85 a 5,75 punti percentuali. Il peggioramento relativo degli esiti lavorativi degli stranieri regolarmente residenti rispetto ai nativi accomuna la generalità dei paesi industrializzati. Secondo il “2013 – Trends in International Migration” dell’Ocse, fra il 2008 e il 2012 il tasso di disoccupazione degli individui nati in un paese non Ocse è cresciuto di 5 punti percentuali (contro i 3 punti dei nativi).

Figura 1 – Occupati per cittadinanza, % su popolazione attiva, Rfl-Istat

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Ci sono molte ragioni per aspettarsi che gli immigrati irregolari siano ancora più vulnerabili sul mercato del lavoro rispetto ai regolari. La figura 2 – realizzata con dati dell’indagine Ismu sull’intera Lombardia per il periodo 2004-2013 – conferma questa supposizione. Non solo gli immigrati privi di permesso di soggiorno hanno percentuali di occupati inferiori ai regolari in tutti gli anni, ma con l’inizio della crisi, nel 2008, hanno subito un vero e proprio crollo. Se il tasso di occupazione degli immigrati regolari si riduce di circa 10 punti percentuali fra il 2008 e il 2013, passando dall’83 al 72,7 per cento, la percentuale di occupati fra gli irregolari crolla di 27,7 punti percentuali nell’arco dello stesso periodo, raggiungendo il 52,9 per cento nel 2013. In soli cinque anni gli immigrati senza documenti hanno sperimentato una riduzione del tasso di occupazione di circa 17 punti percentuali superiore rispetto a quella degli immigrati regolari.

Figura 2 – Occupati immigrati per stato giuridico, % su popolazione attiva, Ismu

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Infine, grazie ai dati Naga possiamo concentrarci esclusivamente sulla popolazione irregolare. La figura 3 mostra l’evoluzione della percentuale di occupati sugli attivi nel campione Naga durante il periodo 2004-2013, distinguendo tra uomini e donne. Si nota immediatamente che, in tutti gli anni, le donne hanno livelli occupazionali maggiori di quelli degli uomini. Per entrambi i generi, l’occupazione sale fino al 2008 e poi crolla rapidamente con l’inizio della crisi economica. Fra il 2008 e il 2013 la percentuale di occupate nel campione Naga passa dal 67,6 al 37,2 per cento, con una riduzione di oltre 30 punti percentuali; per gli uomini la riduzione è di “solo” 25 punti percentuali, dal 59,9 al 35 per cento.

Figura 3 – Percentuale di occupati per genere, 2004- 2013 (Dati Naga)

 

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I dati Naga permettono anche di distinguere fra tre tipologie di occupazione: saltuaria, permanente e venditore ambulante. Trattandosi di lavori in nero, la distinzione tra occupazione permanente e saltuaria è assolutamente soggettiva, ma riflette precisamente la valutazione che l’immigrato fa della precarietà della propria situazione lavorativa. La figura 4 mostra un chiaro peggioramento della stabilità percepita del proprio posto di lavoro da parte degli immigrati irregolari a partire dal 2008. La percentuale di occupazione “permanente”, infatti, passa dal 52 per cento del 2008 a meno del 25 per cento del 2013, mentre quella “saltuaria” sale dal 47 per cento del 2008 a circa il 69 per cento del 2013. Nello stesso anno, la percentuale di ambulanti (6,6 per cento) è più che quintuplicata rispetto al periodo 2004-2009.

Figura 4 – – Tipologia di occupazione, 2004-2013 (Dati Naga)

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Il circolo vizioso

La maggior riduzione della percentuale di occupati fra gli immigrati irregolari ha almeno due possibili spiegazioni. In primo luogo, la mancanza del permesso di soggiorno impedisce ai migranti di svolgere attività lavorative con un regolare contratto di lavoro. Ciò li rende particolarmente esposti alle fluttuazioni del ciclo economico, non potendo vantare alcuna forma di garanzia giuridica del rapporto lavorativo. In secondo luogo, la legge italiana prevede che la concessione e il mantenimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro siano condizionati all’avere un impiego. Durante un periodo di crisi, restare privi del lavoro può portare alla perdita del permesso di soggiorno e il conseguente ritorno in una condizione d’irregolarità.

Al tempo stesso, si riduce la possibilità di regolarizzare la propria presenza attraverso l’accesso (improprio) ai decreti flussi o ai vari programmi di regolarizzazione che si sono susseguiti nel tempo.

Questi dati sembrano quindi smentire la sensazione che gli immigrati “rubino il lavoro” agli italiani, spesso evocata anche assai autorevolmente, come ad esempio in agosto quando lo stesso ministro dell’Interno dichiarò testualmente che non avrebbe firmato alcuna “legge che possa far correre il rischio a un ragazzo italiano di veder rubato il posto di lavoro da un immigrato”.

Al contrario, l’evidenza suggerisce che in caso di condizioni economiche avverse sono proprio gli stranieri i primi a perdere il lavoro e che gli immigrati irregolari, per loro natura confinati nel mercato del lavoro nero, soffrono le conseguenze della crisi ancora più duramente.

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