“Chi sei tu?”

È la domanda con cui termina il primo racconto di Fantasmi dell’aldiquà di Luca Ricci, edito da La scuola di Pitagora. Il racconto in questione si chiama La lunga attesa in cui un marito aspetta con ansia la morte della moglie, solo per poter condividere con lei il gesto più privato e unico che un’altra persona può compiere, e appropriarsene.
Chi sono i fantasmi dell’ultima raccolta di Luca Ricci, è la questione che fa da sottotesto alle storie principali dei singoli episodi; una domanda che emerge lentamente come una conchiglia svelata dalla sabbia, senza la pressione di un’affabulazione forzata: come se Ricci, in ogni storia, creasse due livelli di narrazione, in cui il primo – il fatto, l’intreccio minimo – serva solo al secondo – l’epifania, lo svelamento – intimamente nascosto tra le pieghe essenziali delle parole. Emerge l’ottundimento, lo stupore meravigliato di quando da bambini scoprivamo che fuori nevicava, lo stordimento di scorgere una macchia sul letto che prima non c’era, una carezza che ci sfiora il piede la notte. L’inquietudine di venire a contatto con l’invisibile, ecco cosa sono questi racconti. Apparizioni che squarciano l’universo quotidiano di mamme, bambini, mariti e mogli che abitano i mondi di queste storie; mondi fatti di pennelli, biscotti di Halloween, staccionate da dipingere, gatti e panini al prosciutto.

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La carrellata dei personaggi che li compongono, è composta da coppie, da coppie con figli, o figli e mogli immaginari, o coppie immaginate: una vetrina di personaggi ideali (nessuno di loro ha mai un nome, se non ‘moglie’ ‘marito’ ‘bambino’) che non hanno nulla della fissità o della stereotipata identificazione del ruolo, tanto Ricci li riempie di umana familiarità, di una potente carnalità primitiva – quella chair sensualissima che piaceva tanto a Guy de Maupassant per cui dichiarò: “La tentazione esiste perché vi si ceda”.

I fantasmi di Ricci sono le nostre tentazioni, non solo in senso erotico e fisico – che pure emergono dal libro attraverso i tradimenti, la possibilità del tradimento, o quelli immaginati. Le tentazioni in cui ci inducono questi fantasmi sono soprattutto quelle dell’immaginazione, del gioco della fantasia – la pazza di casa, la chiamava Rosa Montero – che permette ogni cosa, che autorizza l’indicibile a compiersi, poiché è nella finzione che si svelano i nostri demoni. Ecco, allora, che il dipinto di un giardino sul muro di casa di Uscita in giardino, diventa la possibilità della fuga, la fantasia disperata che ci salva dalla noia. Ed ecco, allora, che l’intera impalcatura del racconto stesso Eclissi è costruita sulla materia prima della narrazione: l’invenzione e la possibilità di abbandonarci ad essa, come scrittori e come lettori. Eclissi è la summa poetica di Luca Ricci: in maniera più definita, è l’unico racconto a ricordare la cifra delle short stories statunitensi; ma non troppo. Contiene anche tutto l’universo fantastico e surreale della tradizione latino americana, e tutto il repertorio novellistico, intricato e lapidario di quello italiano. Allora cos’è? È lo stile di Luca Ricci, la sua forma espressiva a se stante, che s’impone con una sua precisa voce a fornire nuovi elementi alle possibilità narrative.

Questa voce ci chiede: Chi sei tu? Che è tutto quello che la letteratura deve fare.

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