Noi italiani sappiamo da tempo che si può fare cassa su tutto, ma che si facesse cassa sulle stufe non era ancora successo. E invece succede, oltretutto nel (quasi) disinteresse generale, troppo presi da altri e ben maggiori guai. Peccato che, tanto per cambiare, la lingua batta dove il dente duole, ovvero a carico delle famiglie con redditi più bassi e dislocate nelle aree periferiche del paese: le aree montane, collinari, agresti. Forse in città non ve ne siete accorti, ma per fare cassa (esattamente 96 milioni di euro, recita la relazione di accompagno) il governo insiste nel volere innalzare l’Iva sul pellet, quel bozzoletto di segatura pressata che produce calore, dal 10 al 22 % nonostante la contrarietà delle associazioni di energie rinnovabili.

La notizia è di sabato scorso 13 dicembre, quando il governo ha presentato un emendamento in tal senso al testo della legge di Stabilità presso la Commissione bilancio del Senato. Lanciata dall’agenzia di stampa Asca, ha cominciato a girare sui siti d’informazione di settore e su qualche quotidiano locale, ad esempio in Veneto, una delle regioni che vanta alti consumi di pellet. Chi volesse averne la certezza, può consultare gli atti di Palazzo Madama, cercando l’emendamento 3.4111 con annessa relazione tecnica, e farsi un’idea sul metodo sistematico con cui i nostri governi annusano a distanza dove c’è profumo di alternativa ma anche di povertà e lì affondano le mascelle come lo squalo sulla preda.

Che il pellet sia il materiale da riscaldamento più usato dai ceti meno abbienti è dimostrato dallo studio Istat pubblicato sul sito di qualenergia.it dove si evidenzia che i maggiori consumi sono registrati nei comuni di montagna fino a 50.000 abitanti. Certo, l’uso del pellet è ancora molto al di sotto di quello della legna tradizionale, ma la sua diffusione sta aumentando grazie a diversi fattori: riscalda di più, inquina di meno e l’accensione della stufa può essere programmata continuando a bruciare per ore, quindi non richiede la presenza materiale in casa. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è per quanti lavorano e non possono badare al fuoco come nelle vecchie storie contadine. Tanto è vero che, al momento, ben 2 milioni di famiglie italiane si scaldano così.

pellet

Ora, il governo non avrà inteso semplicemente equiparare l’Iva ai livelli europei? No. Ce lo spiega Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free, Fonti rinnovabili efficienza energetica: “In Europa, per quanto riguarda l’Iva sul pellet la situazione è molto diversificata. Qualche esempio: in Germania è al 7%, in Inghilterra al 5% come in Francia, in Austria al 10%”. Il riscaldamento a pellet, come gli altri consumi di legna, rientra nell’ipotesi di rilancio dei boschi nazionali. Pochi sanno che “la superficie boschiva italiana è quasi raddoppiata, passando da 5,5 a 10,4 milioni di ettari mentre il prelievo di legname si è quasi dimezzato, calando da 14 a 8 milioni di metri cubi annui”, dice Silvestrini.

Purtroppo, l’Iva al 22% avrà come immediata conseguenza la diminuzione del consumo di pellet, con ulteriori pesanti ricaschi per quella che si stava profilando come una delle facce del “made in Italy”. Le aziende di stufe e macchinari alimentati a pellet (come le caldaie) esportano infatti fino al 35% della loro produzione in Europa e nell’America del Nord. Senza contare che, essendo rinnovabile e inquinando meno, il pellet è un pilastro alla sostenibilità.

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