Le Olimpiadi romane del 2024 sono dunque ufficialmente iniziate. Per ora è una gara tutta interna (italiani contro italiani) e tutta ideologica. Da una parte i fremiti ottimisti del “Vedrete! Per allora saremo cambiati” e dall’altra il cinismo realista di chi ancora sta contando i debiti dell’Expo, i processi del Mose, le piscine non finite del Mondiali di nuoto del 2009 e via elencando. I secondi hanno più argomenti. I primi ne hanno uno formidabile: non bisogna stare fermi perché ci sono i ladri, piuttosto bisogna fermare i ladri.

Coni - Matteo Renzi annuncia la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024

Discorso impeccabile, se non fosse che lo si recita a un paese sospeso tra una pressione fiscale di tipo danese e la banda der Cecato. Potendo uscire dalle beghe nazional-popolari di casetta nostra, però, merita qualche pensierino il concetto stesso di Olimpiade, o di Expo. Dagli anni Ottanta in poi, questi mirabolanti grandi eventi costano più di quello che incassano. Si tende (ovunque, figuratevi qui) a sottostimare i costi e a sovrastimare i ricavi, e raramente le economie nazionali ne risultano rilanciate (a meno che non siano già lanciate da sé). Insomma, gli stati nazionali non sono più gli organizzatori ideali delle Olimpiadi. Allo stato attuale, nessuno può dire come sarà un paese, un’economia, un debito pubblico, uno spread tra dieci anni, siamo nel campo delle scommesse. Però le Olimpiadi ci piacciono parecchio e quindi c’è forse da chiedersi perché non le organizzino le vere potenze mondiali.

Google, Coca Cola, Microsoft, Apple. Si scelgono un paese, fanno le strade, gli stadi, le metropolitane, gli alloggi per gli atleti, le gare ogni quattro anni. La Industrial & Commercial Bank of China (più grande azienda del mondo secondo Forbes, anche la seconda e la terza sono banche cinesi) potrebbe organizzare le Olimpiadi a Roma, e poi magari toccherebbero a Facebook quelle di Oslo, o Madrid, o Bogotà, perché no? Dopotutto il passaggio di potere tra le varie sovranità nazionali e i grandi gruppi finanziari, industriali, commerciali, petroliferi, tecnologici eccetera è in corso da tempo. In Europa, per dire, sarebbe anche un modo, per i grandi colossi del mercato, di restituire, in termini di investimenti, un po’ di quel che hanno risparmiato in tasse grazie a certi paradisi fiscali o soluzioni furbette (l’Irlanda, il Lussemburgo, eccetera). Che so, magari costruiscono le piscine in tempo per farci le gare, da queste parti sarebbe già qualcosa. Ti ricordi Roma, alle Olimpiadi Samsung? Sì, bello, ma anche le Olimpiadi Volkswagen di Città del Messico, niente male. Ma pure le Olimpiadi Disney di Topolinia…

Insomma, se le Olimpiadi sono diventate anche una specie di dimostrazione di potenza, tipo le torri medievali che gareggiavano in altezza, ci si chiede perché non affidarne gli oneri a chi può farlo con il giusto orgoglio e la relativa grandeur. Gli Stati nazionali, specie in Europa, potrebbero evitare di buttare tanti soldi sulla roulette dei grandi eventi e magari occuparsi di progetti meno grandiosi, che so, i treni locali, il Bisagno, le frane, i soffitti delle scuole e altre amenità che rendono la vita di molti italiani uno sport estremo, più che una specialità olimpica. E non si tratta di minimalismo, ma anche di esperimento sociale e antropologico. Se una banca cinese, o una multinazionale americana, o un gigante coreano venissero qui a farci le Olimpiadi, infrastrutture, organizzazione e tutto, ci dovrebbero parlare loro, con er Cecato e con gli altri gentiluomini come lui. Magari impareremmo qualcosa, chissà.

il Fatto Quotidiano, 18 Dicembre 2014

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