“Si riparte da qui: dalla musica e non dalla televisione. Quanto è dura aprire gli occhi la mattina, e concludere il bel sogno che ci ha accompagnato durante la notte…”

Ecco, se questa frase l’avessero scritta, un cantautore esistenzialista degli anni a cavallo fra i sessanta e i settanta, un esponente della New Wave italiana degli anni ottanta, Kurt Cobain negli anni novanta, o persino Federico Zampaglione dei Tiromancino, non ci sarebbe nulla di strano. Il fatto è che a scriverla, sulla sua pagina Facebook, è stato – venerdì scorso – Michele Bravi, il vincitore della penultima edizione di X-Factor. Ma perché una promettente pop-star, cantante per diletto fino a un anno fa, e oggi stimato professionista sotto contratto con un colosso del settore come Sony Music, è così giù di corda?

C’è qualcosa che non torna. Che l’abbia presa male per non essere stato invitato come guest star nell’edizione appena conclusa di X-Factor? Oppure che venerdì mattina gli fosse già giunta voce di non essere stato selezionato fra i venti big della prossima edizione del Festival di Sanremo? Difficile rispondere. Ciò di cui sono certo, è che il giovane talento di Città di Castello è l’ennesima vittima della “memoria televisiva”.

Si tratta di un concetto piuttosto semplice, ma spesso sottovalutato: il pubblico televisivo – specie quello dei nostri tempi – è affetto da un morbo simile all’Alzheimer, che lo porta a dimenticare in fretta tutto ciò che passa in tv. La durata della memoria televisiva non è stimabile con precisione, e di sicuro non è proporzionale alla qualità delle trasmissioni. La natura stessa dei programmi è irrilevante: che si tratti di qualcosa di futile come un talent show, o d’importante come un approfondimento sull’inchiesta “Mafia Capitale”, poco importa.

Il fatto stesso che siano trasmessi in tv comporta che i contenuti di queste trasmissioni saranno presto dimenticati. E’ sufficiente che un vincitore sia sostituito dal successivo – nel caso dei talent – o che Roma, da centro dei più loschi giochi di potere, sia promossa a candidata per i prossimi giochi olimpici, ed ecco che la memoria comincia già a vacillare.

Come si chiamava quel ragazzino di X-Factor con gli occhiali? e quel tizio di Roma con un occhio solo? E’ così che funziona questa patologia, non c’è niente da fare. Anzi, essendo degenerativa, più andiamo avanti e peggio sarà. Di questo passo, in un futuro non troppo distante, le pop-star scadranno prima dello yogurt, l‘offerta di talent continuerà ad aumentare a causa della crescente domanda di pop-star fresche di giornata, tutti vorranno cantare, e in giro non si troverà più un idraulico a pagarlo oro.

L’unica variabile sulla quale si può agire, per prolungare la memoria del paziente/telespettatore, è il numero di repliche – o apparizioni – a cui uno stesso concetto – o personaggio televisivo – è sottoposto. Chi fa tv questo lo sa. Lo sanno i politici dei talk show, quelli che non fanno che ripetere gli stessi proclami allo sfinimento, proprio perché consapevoli di come sia più importante la quantità delle apparizioni televisive, rispetto alla qualità di ciò che dicono; e ovviamente lo sa Carlo Conti, il conduttore designato della prossima kermesse sanremese, che da grande estimatore degli artisti “replicanti”, un paio di “meteore” dell’epoca pre-talent le ha prontamente rispolverate. Ma giusto un paio, visto che la maggior parte dei big prescelti per il futuro Festival della canzone italiana, ha già partecipato – o è riconducibile – a qualche talent show.

Purtroppo, fra questi non ci sarà Michele Bravi. D’altronde, caro Michele, c’era da aspettarselo: l’astuto Conti – vero e proprio luminare della “memoria televisiva” – non poteva far altro che avventarsi sul tuo giovane collega Lorenzo Fragola, inserendolo il più in fretta possibile nel cast sanremese. Almeno prima che diventi il prossimo… “com’è che si chiamava quello con la felpa azzurra di X-Factor?”.

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