In Pakistan torna la pena di morte. La decisione di stoppare la moratoria sulle esecuzioni in vigore dal 2008, arriva direttamente dal premier di Islamabad, Nawaz Sharif, in seguito alla strage taliban che ha ucciso 145 persone, la maggior parte bambini, in una scuola frequentata da figli dei militari, a Peshawar, nel nord-ovest del Paese. “Una vendetta per i nostri militanti uccisi dalle autorità. Vogliamo che sentano il nostro dolore”, hanno dichiarato i Taliban rivendicando l’attentato.

Stop al dialogo con i Taliban, quindi. Il premier non ha più intenzione di sedersi a un tavolo con i leader degli ex “studenti” delle madaris del Paese, ma darà il via a una vera e propria lotta per estirpare le formazioni presenti in Pakistan. “I risultati del dialogo con i Talebani sono davanti ai vostri occhi. Non siamo riusciti a ottenere nulla con il dialogo e l’aeroporto di Karachi è stato attaccato”, ha dichiarato riferendosi all’attentato dello scorso 8 giugno che è costato la vita a 28 persone. ”Sento che non è più possibile andare avanti in questo modo – ha poi continuato – e il governo ritiene che si debba continuare l’azione contro di loro. Per noi è fondamentale non dimenticare quello che hanno patito ieri questi bambini e come sono stati uccisi senza pietà. Non ci può essere una tragedia più grande di questa“.

L’unico metodo di esecuzione legale nel Paese è l’impiccagione, ma le esecuzioni erano state bloccate dal 2008. Il numero di attentati dei Taliban pakistani, però, è cresciuto negli ultimi anni, soprattutto dopo l’elezione di Sharif, a fine 2013, che ha dato il via a una lotta interna a questi gruppi terroristici, da sempre legati a una certa parte dell’ala militare del Paese e, soprattutto, all’Isi, i servizi segreti pakistani. Una lotta condotta insieme al nuovo presidente afgano, Ashraf Ghani Ahmadzai, per cercare di garantire maggiore sicurezza in tutta l’area, soprattutto quella di confine tra i due paesi, a nord-ovest del Pakistan, ma che ha dovuto fare i conti con le numerose ritorsioni dei gruppi Taliban in Pakistan e Afghanistan. Un impegno comune che il premier pakistano ha voluto ricordare e rinnovare proprio il giorno dopo la strage di Peshawar: “La tragedia di ieri sarà discussa con la leadership afghana – ha detto Sharif – Il nostro obiettivo è di liberare l’intera regione dal terrorismo”. Il nord-ovest è proprio la zona controllata dal gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan, il gruppo che ieri ha rivendicato l’attentato di Peshawar e che cercò di uccidere il nuovo premio Nobel per la Pace, Malala Yousafzai.

I Taliban pakistani, soprattutto i gruppi più estremisti, non hanno digerito la politica di Sharif e hanno dato il via a una serie di attentati contro la popolazione, soprattutto nell’area della capitale e nel nord-ovest, che hanno portato il premier pakistano a decidere di stoppare la moratoria sulla pena di morte, provvedimento che sarà attivo in 48 ore. Una scelta che, probabilmente, ha l’obiettivo di fare da deterrente per altri attentati in programma, ma che di fatto riapre la strada del patibolo per i circa ottomila condannati a morte del Paese.

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