Lo spirito del tempo è lo stupore di Massimo D’Alema inseguito per le strade della “sua” Bari da una pioggia di insulti nel tripudio di bandiere rosse di un corteo sindacale, persone che forse, qualche anno fa, lo avrebbero anche applaudito. Il fatto è che la controversa storia politica di D’Alema c’entra fino a un certo punto con l’esplosione di rabbia, perché con le stesse urla – “Basta rubare”, “Siete dei porci” – probabilmente sarebbe stato accolto qualsiasi personaggio politico minimamente riconoscibile in quanto facente parte dei “venduti” che “hanno affondato l’Italia”, mentre “noi ci facciamo un culo così per arrivare a fine mese”.

Matteo Renzi ospite a "In Mezz'Ora"È sempre accaduto quando le crisi diventano ingovernabili. A scuola ci raccontavano che a Vienna, durante i moti del 1848, il potente principe Von Metternich, ostile ai rivoltosi, per non finire linciato dalla folla fu costretto a scappare nascosto in un carretto della biancheria sporca. Più recentemente, ai tempi di Tangentopoli, il ministro craxiano De Michelis dovette darsi alla fuga per le calli veneziane mentre cittadini inferociti gli gridavano appresso “ònto”, unto, per via dei capelli troppo lunghi e pure per altre ragioni.
Alla fine l’imperatore d’Austria fu costretto a concedere ai ribelli una Costituzione, così come i processi di Mani Pulite azzerarono la vecchia classe dirigente: insomma, una reazione ci fu e qualcosa accadde.

Invece oggi l’ira montante della gente s’infrange sull’indifferenza di un potere che consuma se stesso e la nostra democrazia facendosi assoldare dai criminali del “mondo di mezzo”, oppure – come l’ineffabile Buzzi, boss della mitica coop rossonera 29 Giugno – augurando ai sodali un felice anno nuovo “pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori e magari con qualche bufera di neve: evviva la cooperazione sociale”. All’esondazione della cloaca massima, la ferma risposta delle istituzioni produce ulteriori norme sulla corruzione: “Pene più severe” come strombazza l’informazione unica, ma del tutto inefficaci, secondo il nostro Bruno Tinti, una volta inserite in una macchina processuale appositamente rallentata da mille intralci poiché “i politici che campano di reati o di sovvenzioni criminali non possono permettersi un sistema penale che blocchi il sistema che gli dà da vivere, anche nel senso stretto del termine”.

Molto più sincero l’appello straziante di Giorgio Napolitano che, giunto al passo d’addio, definisce “patologia eversiva” la cosiddetta “antipolitica” e non la corruzione che la genera. Tragica coerenza di un uomo che si è posto a sentinella del sistema da preservare a ogni costo, pur se internamente divorato da un termitaio, e che vede il pericolo supremo nella denuncia di “opinion maker lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda impetuosa e fangosa”.

Come se i mali italiani fossero stati generati da un libro, La Casta di Stella e Rizzo, e in seguito dal Movimento Cinque Stelle, che ha raccolto sull’opposizione ai ladri quasi nove milioni di voti. Estremizzando, è un sistema che preferisce Carminati a Grillo e che, per la successione a Re Giorgio, auspica un altro defensor fidei come Giuliano Amato, candidato non a caso da Silvio Berlusconi. Un immobilismo che, se protratto dai giochi di Palazzo, finirà in un modo o nell’altro per essere travolto dalla furia popolare. Allora non ci saranno scorte che tengano per difendere certi politici dai propri elettori. “Dunque siamo proprio morti?”, chiese prima della fuga Melanie, la moglie di Von Metternich. E lui: “Sì, mia cara, siamo morti”.

Il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2014

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