Lo scontro “vero” è rimandato all’elezione del Capo dello Stato. Ma già da domani – quando si riunirà l’Assemblea nazionale del Pd al Parco dei Principi della Capitale – si aprirà una nuova fase del partito guidato da Matteo Renzi. Una “nuova fase” che di certo passerà dall’attesa relazione del premier-segretario. Allontanerà dalla segreteria i bersaniani e i cuperliani, annullando nei fatti la gestione unitaria? Prenderà provvedimenti disciplinari o addirittura espellerà chi non si adeguerà alla linea dell’esecutivo e del partito? Domande, queste, che in queste ore attanagliano gran parte dei dirigenti del Nazareno, e su cui neanche i fedelissimi del segretario sanno rispondere. Del resto, l’ultima parola, nonostante si consulti costantemente con Luca Lotti e Maria Elena Boschi, spetterà come sempre all’inquilino di Palazzo Chigi. “Fa sempre di testa sua, e la decisione arriverà all’ultimo minuto”, rivelano dai piani alti del Nazareno.

Di certo, i renziani duri e puri si attendono un discorso duro da parte di Renzi, il quale, stando alle descrizione che circolano in queste ore, sarebbe parecchio “irritato” e “nervoso” per le divisioni interne e, soprattutto, per il ko subito dal governo in commissione Affari Costituzionali sul ddl costituzionale. La riforma del Senato è impantanata a Montecitorio, e appare probabile che alla luce dell’ostruzionismo da parte dell’opposizione interna ed esterna non sarà incardinata prima delle ferie natalizie. Insomma, tutto rimandato al nuovo anno quando diverrà prioritaria un’altra questione: la successione di Giorgio Napolitano.

Ecco perché al momento, la linea allo studio di Palazzo Chigi è quella dello scontro: “Noi – dice a ilfattoquotidiano.it un renziano – controlliamo l’80% dei membri dell’Assemblea. Non abbiamo affatto paura. Anzi. Domani Renzi andrà dritto come un treno e chiederà mandato pieno al partito sul percorso delle riforme. Si metterà in votazione la sua relazione e poi ci sarà uno show di Bonifazi sui conti interni al partito: facendo un prima, un durante e un dopo”. I fucili sono tutti puntati sui cosiddetti dissidenti, “i Civati, i Fassina e D’Attore”, i frenatori del percorso delle riforme, i quali non intendono indietreggiare su nessun punto del piano dell’esecutivo. “Noi siamo interessati a una discussione sulla politica – scandisce Alfredo D’Attore a ilfattoquotidiano.it – non siamo interessati a partecipare a una corrida o una arena. Mi auguro che Renzi non cerchi pretesti”. Ecco. La preoccupazione che circola con insistenza in ambienti interni alla minoranza Pd è che “Renzi – spiega il senatore Miguel Gotor – tende a demonizzare la minoranza del Pd in modo falso e sbagliato per coprire il vero problema politico: l’incrinatura del Patto del Nazareno a causa dell’instabilità interna a Forza Italia. Ed è il patto del Nazareno il peso della sua forza, quindi è nervoso”.

In realtà il nervosismo investe tutte le anime interne ai democrat, segno che dietro le distanze sul Jobs Act o sulla riforma costituzionale si celano altre partite. Una, ed è questione prioritaria, è l’elezione del Capo dello Stato. Con il Patto del Nazareno che “scricchiola” il premier-segretario è costretto a tenere insieme il partito. Altrimenti, scherza un bersaniano di ferro, “hai voglia a impallinare candidati”. Ecco perché fin da domani nel backstage del Parco dei Principi Renzi, o comunque il “forlaniano” Guerini, potrebbero cominciare ad annusare gli animi della minoranza bersaniana sulla questione Capo dello Stato. Anche se domani, “prima ancora del Capo dello Stato sarà interessante comprendere quante persone prenderanno parte all’Assemblea. Ci sarà il numero legale? Al momento nel Pd c’è un problema di tenuta del Pd…”.

Twitter: @GiuseppeFalci 

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