Un giorno, quando tutto sarà finito, una foto racconterà cosa è stata la guerra di Siria, e sarà questo scatto di Yuri Kozyrev che Time ha scelto tra i migliori dieci di quest’anno.

Yuri è russo, è nato a Mosca nel 1963, ed è noto soprattutto per il suo lavoro sull’Iraq, in cui è rimasto anni. E’ un uomo timido, di poche parole, con questo sguardo fragile, schivo, bellissimo, tra il blu e il grigio. A vederlo, non penseresti mai che è un fotografo di guerra. Anche se minimizza, umile, e sostiene di occuparsi solo di news, di notizie quotidiane, non di reportage, ogni suo scatto in realtà è una storia, perché ogni suo istante è un istante che è maturato nel tempo, che non ha semplicemente uno sfondo, ma un contesto – oggi che per molti giornalisti non conta che arrivare primi, piantare la bandiera sulla luna, Yuri ti dice che l’importante non è andare, ma tornare.
Nel senso: continuare ad andare, tornare in un paese più e più volte. Anche quando sembra non succedere niente. Anche quando non sei più in prima pagina. Perché una guerra non è il fronte, ma tutto quello che lo precede, e gli sta intorno – tutto quello che genera il fronte.

E così, a maggio, mentre tutti celebravano il cessate il fuoco di Homs, con i siriani in fila per rientrare nelle loro case, un cessate il fuoco che avrebbe dovuto essere il primo di una lunga serie, città a città, e invece è stato l’unico, Yuri ci ha mostrato questa tregua senza sorrisi, senza sollievo: senza speranza – perché non sono rimaste che macerie, in Siria. E due regimi invece di uno solo. Oggi con chiunque parli, che si tratti di un sostenitore di Assad o dei ribelli, o magari degli islamisti, per tutti non è che la scelta del male minore. Non è sostegno per gli uni: è non-sostegno per gli altri, in questa guerra per il dominio delle macerie in cui l’obiettivo ormai non è più vincere, ma non perdere. E in cui al fronte, su entrambi i lati, trovi più stranieri che siriani. Ai siriani, qui, non è rimasto che un ruolo: quello dei morti.

Non è altro che macerie, la Siria, macerie impastate a cadaveri mai recuperati, perché la regola, qui, è una sola: che dove c’è un ferito, c’è un padre, un fratello che prova disperato a salvarlo, e lì colpisce il secondo cecchino, lì bombarda il secondo aereo – nient’altro che macerie, e questo ragazzino, con il suo carico troppo pesante sulle spalle, che ti guarda senza fissarti. Perché non si aspetta niente da te, sa ormai che non lo aiuterai, che ti imbatterai in questa foto, in queste parole, e tornerai alla tua vita, al tuo mondo. Sa che deve cavarsela da solo. Ti guarda e tira dritto, chino sotto il peso di questa guerra inutile.

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Foto: @Yuri Kozyrev for Time – Homs, 12 maggio 2014

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