Eravamo quattro amici al Nar: nell’ora d’aria di Rebibbia, in quell’autunno del 1982, cresceva il futuro di Roma e nessuno poteva immaginarlo. C’era un giovane 23enne, barese di nascita e romano d’adozione, già accusato – e poi prosciolto – appena un anno prima d’aver preso a sprangate uno studente universitario insieme con altri tre camerati. Questa volta è in carcere per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica e, di lì a poco, sarà prosciolto anche da per quest’accusa. È qui, nel carcere di Rebibbia, che Gianni il “camerata” incontra Salvatore Buzzi, 26 anni e l’accusa d’un omicidio commesso, con 34 coltellate, il 24 giugno 1980.

Ed è sempre qui, a Rebibbia, che il 6 ottobre 1982, nelle sue ultime settimane di reclusione, Alemanno incontra l’uomo che nega di aver mai conosciuto: l’esponente dei Nar Massimo Carminati, condotto in questo carcere – allora come oggi – dal Ros dei Carabinieri, da pochi mesi ferito all’occhio e grande amico del camerata Peppe Dimitri.
Parliamo dello stesso Dimitri che passa da Avanguardia Nazionale a Terza Posizione, fino al terrorismo dei Nar, ed è uno dei più ascoltati neofascisti che si riuniscono al Fungo dell’Eur, il luogo storico dei ritrovi della destra irregolare romana. Non è un dettaglio da poco: Dimitri è amico sia di Carminati sia di Alemanno che anni dopo, quando governerà il ministero dell’Agricoltura, gli affiderà una consulenza. Ma siamo già nel 2001. Torniamo a quel 1982: Dimitri è il compagno di cella di Alemanno. C’è
un terzo uomo, in questa cella, che appartiene alla recente storia di Roma, di certo meno noto ma non meno presente, nella gestione degli ultimi affari capitolini: Andrea Munno, all’epoca arrestato per un’aggressione, anch’egli nei Nar. Tutti amici del più famoso, oggi, tra quei componenti dei Nar: Massimo Carminati, il “cecato”, il “re di Roma” spodestato in questi giorni dalla procura guidata da Giuseppe Pignatone e dal Ros comandato dal generale Mario Parente. Dimitri è morto nel 2001 e in quest’epilogo non c’entra nulla, ma gli altri tre sono presenti nelle carte giudiziarie, tutti e tre con l’accusa di mafia. Nei vent’anni che trascorrono, da quelle ore a Rebibbia alle indagini di questi giorni, tutti seguono una strada di successo.

Alemanno scala i vertici della politica nazionale, siede sulle poltrone di sindaco a Roma e di ministro dell’Agricoltura, non è più il ragazzo ribelle che viene arrestato, per la terza volta nel 1991, quando si sdraia per impedire il passaggio dell’auto di Bush senior. Buzzi ottiene la grazia e s’impegna nel “sociale”: segue la sinistra, dal Pci fino al
Pd, ma grazie alla destra di Alemanno ottiene – secondo le accuse –appalti su appalti dal municipio romano. E Carminati invece diventa il “re di Roma”, il signore del “mondo di mezzo”, mafioso secondo l’accusa, socio di Buzzi nella cooperativa rossa e negli affari capitolini. E Munno? Si trasforma in imprenditore ma torna in carcere nel 1994, a 34 anni, per usura, ricettazione e truffa nei confronti di commercianti e liberi professionisti a Roma e in Puglia, invece, per traffico di dollari falsi. Poi riaffiora nelle carte giudiziarie nel 2012: è indagato per i Punti Verdi del Campidoglio di Parco Feronia e parco Kolbe. Secondo l’accusa Munno attraverso la sua società, Edil House 80, avrebbe messo in piedi un giro di fatture gonfiate che vedeva coinvolta anche Lucia Mokbel, sorella del faccendiere (anche lui ex estremista di destra) Gennaro. Consulente di
Munno era Stefano Mastrangelo, ex direttore dell’ambiente in Comune nominato da Walter Veltroni. L’imprenditore ha sempre respinto le accuse ma nell’inchiesta di Mafia Capitale (in cui non risulta indagato) ci sono nuovi riscontri sui giri di compravendite che Munno ha effettuato sempre sui Punti Verdi attraverso nuove società costituite negli ultimi anni. Nel gennaio 2014, infine, l’ultima vicenda che lo vede coinvolto: una richiesta di rinvio a giudizio per aver corrotto i due poliziotti che vigilavano su di lui mentre era affidato ai servizi sociali per scontare un residuo di pena. Vicenda emersa grazie alla testimonianza della sua ex compagna resa dopo averlo trovato a letto con un’altra donna. “Andrea corrispondeva al poliziotto 1500 euro, anche settimanali”, denuncia la sua ex. “Uno dei due poliziotti viene pagato da Munno per avere la sua protezione e muoversi agevolmente”. Erano in quattro, nell’autunno dell’82, tra le mura di Rebibbia: oggi in due – Carminati e Buzzi – sono a Regina Coeli. E Alemanno è accusato di mafia.

da il Fatto Quotidiano di giovedì 11 dicembre 2014

Articolo Precedente

Mafia Capitale, sms di Buzzi: “Speriamo in anno di monnezza, immigrati e minori”

next
Articolo Successivo

Corruzione, New York Times: “Non c’è angolo d’Italia immune dalla criminalità”

next