Nel giorno in cui il Parlamento portoghese, dopo il via libera delle Assemblee di Svezia, Regno Unito, Spagna, Irlanda e Francia, vota in favore del riconoscimento della Palestina come “stato indipendente e sovrano”, un nuovo attacco nei confronti di civili israeliani che vivono nei territori occupati fa alzare la tensione in West Bank. L’ultimo episodio ha come vittima una famiglia, composta da una coppia e 4 bambine, che vive a Beitar Illit, insediamento tra Gerusalemme e Hebron. Un palestinese, che, come riferisce l’esercito israeliano, si è finto autostoppista, ha gettato dell’acido in faccia alla donna e alle figlie, ferendole lievemente. L’uomo, scrive Ynet, è poi fuggito e ha tentato di attaccare altre due persone armato di cacciavite, ma le guardie di frontiera israeliane sono intervenute sparandogli al petto. L’uomo è stato arrestato e trasportato in ospedale.

Quello di venerdì è l’ultimo di una serie di attacchi che hanno fatto salire nuovamente la tensione tra Israele e Palestina. “Si tratta di azioni condotte da singoli – avevano dichiarato le autorità palestinesi – non c’è nessun programma o gruppo dietro questi atti”. Parole che volevano eliminare qualsiasi dubbio riguardo alla presenza di Hamas dietro gli attentati. Le proteste erano cresciute nuovamente quando, mercoledì, il ministro palestinese, Ziad Abu Ein, è stato colpito prima da una testata e poi al petto dal calcio del fucile di un militare israeliano ed è morto. Il ministro stava partecipando a una manifestazione a Ramallah, capitale dello Stato di Palestina, quando è nata una discussione con il soldato che, si vede in un video, lo avrebbe spinto e poi lo avrebbe afferrato per il collo. Il portavoce dell’esercito di Tel Aviv ha annunciato di aver aperto un’inchiesta sull’incidente e che un patologo israeliano parteciperà all’esame congiunto sulle circostanze della morte del ministro. Proprio dopo questo episodio e le condanne delle istituzioni palestinesi, la polizia israeliana ha aumentato i controlli nell’area della Spianata delle Moschee e nella Città Vecchia di Gerusalemme per paura di ripercussioni al termine delle preghiere del venerdì.

Intimidazioni contro Israele anche in Grecia, dove nella notte tra giovedì e venerdì sono stati sparati “almeno 54 colpi di Kalashnikov“, come riporta la polizia greca, contro l’Ambasciata israeliana ad Atene. Una minaccia che ha fatto aumentare subito i controlli intorno all’edificio, con la polizia greca e la squadra dell’antiterrorismo di in allarme. Secondo le prime ricostruzioni, due motociclette con a bordo quattro persone sarebbero passate davanti al palazzo e avrebbero scaricato le loro armi contro il muro dell’Ambasciata, scappando poi a bordo dei mezzi. Gli investigatori ipotizzano che gli uomini possano fare parte dell’organizzazione terroristica Gruppo Combattenti Popolari (Ola) che, circa un anno fa, ha rivendicato un attacco contro la residenza dell’ambasciatore tedesco molto simile nella dinamica a quello della notte tra giovedì e venerdì.

Le violenze, però, erano iniziate già a fine ottobre, dopo l’annuncio da parte del governo israeliano della costruzione di 1.060 nuovi insediamenti nei territori occupati. Il 30 ottobre, un attentatore palestinese ha sparato al rabbino Yehuda Glick, sostenitore degli ideali dell’estrema destra israeliana, all’uscita da una conferenza in cui aveva parlato della volontà di costruire un tempio ebraico nella Spianata delle Moschee, luogo sacro dell’Islam. Da quel momento, le autorità di Tel Aviv hanno rafforzato i controlli e il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha promesso leggi più severe nei confronti dei manifestanti pro-Palestina. I controlli non sono bastati a frenare le violenze. Pochi giorni dopo, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nell’abitazione del presunto attentatore che, in un conflitto a fuoco, è rimasto ucciso. “Un’esecuzione”, secondo gli abitanti palestinesi della zona, che ha provocato nuove ritorsioni da parte degli attentatori pro-Palestina che si sono susseguite per tutto il mese di novembre.

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