Da magistrato ha fatto scattare le manette ai polsi di pezzi da novanta di Cosa Nostra: da Leoluca Bagarella fino a Giovanni Brusca, passando da Pietro Aglieri, Cosimo Lo Nigro e Carlo Greco, sono decine i latitanti mafiosi arrestati da Alfonso Sabella, da poche ore nuovo assessore alla Legalità del comune di Roma. Una delega voluta fortemente dal primo cittadino capitolino Ignazio Marino, dopo che l’ultima indagine della procura di Roma ha svelato l’esistenza della Mafia Capitale, un’organizzazione criminale attiva in ogni cellula amministrativa cittadina. E per la poltrona da assessore alla legalità Marino ha deciso di puntare tutto su Sabella, da alcuni anni giudice penale a Roma.

Nato a Bivona, minuscolo comune in provincia di Agrigento 52 anni fa, Sabella entra in magistratura nel 1989: prima fa il pm a Termini Imerese, poi nel 1993, nel day after delle stragi mafiose che spazzano via Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si trasferisce a Palermo, senza mai iscriversi ad alcuna corrente della magistratura. A guidare la procura del Palazzo dei Veleni è appena arrivato “in missione” da Torino Gian Carlo Caselli. Sabella diventa uno dei pm più fedeli di Caselli, e con il magistrato piemontese condivide la stagione esaltante della seconda metà degli anni ’90: decine di arresti, l’ala militare di Cosa Nostra che viene decapitata, e boss di primo piano che decidono di “saltare il fosso” e collaborare con la magistratura.

È il caso di Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato soprannominato ‘u verru (il porco), l’uomo che schiaccia il telecomando a Capaci: è davanti a Sabella che il padrino mette a verbale le prime dichiarazioni sulla Trattativa e sul Ros dei Carabinieri, sulla strage di via d’Amelio che viene messa in atto “perché – spiega il pentito – siamo stati pilotati dai carabinieri”. È in quegli anni che Sabella si merita sul campo l’appellativo di “cacciatore di mafiosi”, un soprannome che prenderà poi in prestito per farci il titolo del suo libro, uscito nel 2008 per Mondadori, in cui ripercorre i sei anni di servizio alla procura di Palermo. Una stagione che si conclude nel 1999, quando Caselli va a dirigere il Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, e Sabella va con lui a dirigere l’ufficio ispettivo. Nel 2001 finisce coinvolto nelle indagini sul G8 di Genova, dato che era responsabile delle carceri provvisorie di Bolzaneto e San Giuliano. L’incarico al Dap per Sabella dura appena due anni: nel 2001 a dirigere l’amministrazione penitenziaria arriva Giovanni Tinebra, e i due magistrati entrano subito in contrasto. Il risultato è che dopo pochi mesi Sabella viene allontanato su ordine diretto dell’allora Guardasigilli Roberto Castelli. Il motivo di quell’allontanamento? I tentativi di colloquio intrapresi in carcere per fare diventare legge la cosiddetta dissociazione: i boss mafiosi abiuravano la fedeltà a Cosa Nostra, e senza accusare nessuno avrebbero avuto gli stessi benefici dei collaboratori.

“Io – spiegò Sabella in un’intervista – mi metto di traverso su questa operazione, l’indomani vengo rimosso dal mio incarico e vengo mandato via. All’epoca io feci la mia valutazione da sostituto procuratore di Palermo, io all’epoca ero il magistrato titolare di Scarantino: io Scarantino l’ho interrogato due volte alla seconda volta gli ho detto: tra lei e la mafia c’è lo stesso rapporto che c’è tra me e la fisica nucleare’ perché chiaramente mi sono reso conto che mi trovavo di fronte ad un personaggio che tutto poteva fare fuorché il mafioso di quel livello”.

Tinebra era il capo della procura di Caltanissetta che indagò sulla strage di via d’Amelio prendendo per buona la testimonianza del Scarantino, poi rivelatosi un pentito farlocco. “Scarantino – disse sempre Sabella – non so se sia stato un protocollo fantasma ante litteram, certo è che capire quello che è successo in carcere su Scarantino per me è stato veramente doloroso, perché se è vero la metà, o addirittura un decimo di quello che io ho letto lo Stato dovrebbe chiedere scusa per come si è comportato in quel frangente perché, se c’è una cosa veramente drammatica, è quando lo Stato usa gli stessi metodi della mafia”. Dopo l’allontanamento di Sabella, Tinebra chiama a dirigere l’ufficio ispettivo del Dap Salvatore Leopardi, già pm a Caltanissetta, oggi sotto processo a Roma per falso e omissione per questioni relative alla gestione del boss camorrista Antonio Cutolo: una vicenda che gli inquirenti inquadrano all’interno dell’indagine sul Protocollo Farfalla, il patto segreto tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Tinebra. Un patto che Sabella avrebbe denunciato: e per questo motivo viene allontanato. Ora dovrà vigilare sui tentativi d’infiltrazione della criminalità nel comune di Roma.

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