La Banca centrale europea lancia l’allarme sui rischi corsi dalle banche che hanno in pancia troppi titoli di Stato di Paesi ad alto debito. Proprio nel giorno in cui 306 istituti europei ricevono dalla stessa Bce i 129,8 miliardi richiesti nell’ambito del nuovo piano di maxi finanziamenti (Tltro) a tassi superagevolati dello 0,15% avviato in settembre e in teoria finalizzato a rilanciare il credito all’economia reale.

L’avvertimento risuonerà particolarmente forte negli istituti italiani: solo mercoledì Bankitalia ha infatti comunicato che a ottobre il loro portafoglio di Btp, Cct, Bot e altri certificati del Tesoro ha toccato il massimo storico: 414 miliardi di euro (di cui 286 solo di Buoni poliennali) contro i 395 miliardi di settembre. In un solo mese, dunque, hanno fatto “shopping” di debito pubblico per 18,4 miliardi. Ebbene, il bollettino mensile dell’Eurotower mette esplicitamente in guardia sul fatto che “esposizioni su vasta scala delle istituzioni finanziarie nei confronti di emittenti sovrani con rischi significativi di sostenibilità possono indicare vulnerabilità di tali istituzioni”. Monito che sembra cucito su misura per le banche di un Paese in cui la zavorra del debito è arrivata a sfiorare il 134% del Pil, il rating sovrano è appena stato tagliato dall’agenzia Standard&Poor’s a un livello subito superiore a quello “spazzatura” e, come emerge da un dossier del servizio Bilancio del Senato, il 40% della spesa pubblica degli ultimi sei anni è stata destinata al rimborso dei titoli in scadenza e al pagamento degli interessi. Nel 2013 l’esborso per le casse pubbliche è stato di 328 miliardi. E ai problemi interni si aggiunge ora il pericolo del contagio greco, con Atene che sta ripiombando nella crisi finanziaria e spaventa tutti i mercati europei.

I circa 23 miliardi richiesti dalle banche italiane alla Bce in settembre sono andati quasi interamente a finanziare il debito pubblico

I soldi usati per comprare titoli sono sottratti a famiglie e imprese – Per di più, si legge nel rapporto della Bce, “un ingente fabbisogno di finanziamento degli emittenti sovrani può ridurre le disponibilità per gli operatori di altri settori, che siano istituzioni finanziarie o società”. E qui si arriva al fulcro del problema: i soldi che vanno a finanziare il debito pubblico sono soldi sottratti a imprese e famiglie. E dire che Mario Draghi, in giugno, aveva chiarito che i nuovi prestiti concessi alle banche sarebbero stati “vincolati” (targeted) a “sostenere i prestiti bancari alle famiglie e alle società non finanziarie, esclusi i prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni”. Per ora sembra non stia funzionando: anzi, gli ultimi dati di via Nazionale fanno proprio pensare che i circa 23 miliardi (su 82 complessivi) richiesti dalle banche italiane nel corso dell’asta di settembre siano finiti quasi interamente in Btp. Esattamente come era accaduto all’epoca della precedente operazione di rifinanziamento, quella da oltre 1000 miliardi varata tra 2011 e 2012.

Intanto la Bce presta alle banche europee altri 129,8 miliardi – Per quanto riguarda gli istituti italiani, l’asta di giovedì li ha visti partecipare chiedendo alla Bce un totale di circa 26 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo ha chiesto e ottenuto 8,59 miliardi di euro contro i 4 chiesti a settembre, Unicredit 2,2 miliardi, il Monte dei Paschi di Siena (in attesa dell’ok al piano di ricapitalizzazione presentato dopo la bocciatura agli stress test) 3,3 miliardi, Ubi Banca 3,2 miliardi di euro, il Banco Popolare 2,7, la Banca Popolare di Milano 1,5 miliardi, Veneto Banca 979 milioni e Carige 400 milioni. Secondo il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, nelle due tornate di aste le banche italiane hanno ricevuto “addirittura circa un quarto dell’ammontare totale dei fondi assegnati dalla Bce”. Il risultato complessivo della seconda tranche, pari appunto a 129,8 miliardi, è inferiore alle attese dell’Eurotower, cosa che secondo gli analisti dimostra come questo tipo di misure sia insufficiente. E sia quindi probabile che Draghi metta in campo in tempi brevi il piano di acquisto di titoli sovrani. Lo stesso bollettino ribadisce ancora una volta che “il Consiglio direttivo rimane unanime nel suo impegno a ricorrere a ulteriori strumenti non convenzionali nel quadro del proprio mandato”. Anche se l’unanimità è incrinata dall’opposizione del governatore della Bundesbank Jens Weidmann a quello che in gergo viene definito “alleggerimento quantititativo” (quantitative easing). In ogni caso nella prossima riunione, il 22 gennaio, il board valuterà l’impatto sull’inflazione degli stimoli introdotti finora e anche l’effetto del crollo dei prezzi del petrolio. Poi si deciderà come procedere.

“Rispettare pienamente il Patto di stabilità e crescita e la regola del debito per non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche”

“Italia a rischio di procedura per disavanzi eccessivi” – Quanto agli altri appunti indirizzati nello specifico a Roma, la Banca centrale europea scrive che per l’Italia “è importante assicurare il pieno rispetto dei requisiti del Patto di stabilità e crescita e della regola del debito per non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia dei mercati”. Nel complesso, sottolinea la Banca centrale, “il progetto di bilancio comporterebbe un aumento nel 2015 del fabbisogno finanziario netto dello 0,4 per cento del Pil”. Inoltre “i piani del governo indicano un rinvio della scadenza per l’obiettivo di medio termine al 2017, in ritardo di due anni rispetto alla raccomandazione, e una deviazione dalla regola del debito”.

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