È poetico parlare di vini. Soprattutto quando si visita un evento dal titolo Vini corsari in omaggio agli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini. Per due giorni, trenta vignaioli europei si sono trovati nel castello comunale di Barolo (paese) e (davvero curiosamente) nessuno ha bevuto neppure una goccia di Barolo (vino). In compenso, c’era un’azienda per ogni regione italiana e poi produttori dal Portogallo, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania e dalla Svizzera.

Organizzata dall’associazione culturale Giulia Falletti di Barolo in collaborazione con Les amis de la cugnette/Vin Passion di Lione e Os Goliardos di Lisbona, Vini corsari a dire il vero è stata soprattutto un incontro e un momento di condivisione tra produttori che si sentono parte di una rete di relazioni, sociali e di amicizia. Il pubblico c’era, certo, ma l’attenzione non era rivolta tanto ai visitatori, quanto ai rapporti tra persone. Clima informale, meno biglietti da visita e più strette di mano, meno cravatte e più pacche sulle spalle.

A dirigere il tutto, la giovane Marta Rinaldi, figlia d’arte di quel Beppe Rinaldi che quando si parla di Barolo non si può non nominare, magari con il suo noto soprannome “Citrico”. Indaffaratissima a gestire il tutto, ma con il sorriso di chi comunque si sta divertendo, ci racconta: «Abbiamo invitato amici da altre zone d’Europa, perché conosciamo il valore della loro produzione ma soprattutto perché condividono la nostra mentalità. Vivono un approccio artigianale al vino e hanno l’intento di restituire nelle loro produzioni il terroir, tutelato e valorizzato, attraverso una viticoltura rispettosa dell’ambiente e volta ad esercitare e approfondire i saperi e le pratiche pazientemente forgiate dalle generazioni precedenti. Il bello è incontrarci di persona perché, al di là degli aspetti commerciali, il vino è soprattutto scambio, interazione, festa.»

E Pasolini cosa c’entra? «In Scritti Corsari – continua Marta Rinaldi – si condannano l’omologazione culturale e la perdita delle diversità locali italiane e si incoraggia il dissenso nei confronti di una società consumistica e schiava delle mode. Pasolini è difensore di un’autenticità senza artifici: amante del vino perché vicino alla rustica semplicità del mondo contadino. La nostra esperienza vinicola ci esorta a scoprire i vini alla loro sorgente, perché ci sia restituita un’idea concreta del luogo, del territorio e della loro storia; per poter infine apprezzare quei vignaioli che ci introducono nella loro dimensione fisica e temporale, al di là delle loro certificazioni o etichette.»

E come omaggio alla ricchezza del panorama enologico, la scoperta di decine di vitigni autoctoni europei è un’esperienza entusiasmante. Nel castello di Barolo, per un week end, dialogavano il bianco spagnolo Priorat con un Cerasuolo e una ratafià abruzzesi, un ricercato Carso Vitovska con uno Chablis di Borgogna, un bianco pugliese vinificato in anfora con un Riesling tedesco invecchiato dieci anni.

di Danilo Poggio

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