Dita di datteri è un romanzo incentrato sui temi dell’emigrazione, dell’amore, della violenza, del conflitto, del concetto di onore familiare. Gli avvenimenti descritti, così come i pensieri, le idee e i personaggi si spostano dai villaggi e dalle zone rurali dell’Iraq ai locali notturni di Madrid. Il romanzo descrive la vita quotidiana in Iraq nell’epoca in cui Saddam Hussein governava il paese, tratteggiandola con grande umanità, e racconta la storia di un giovane e dei suoi rapporti con la famiglia, specialmente con il padre e con la ragazza che ama e che vuole sposare.

ditadidatteriSelim, fuggito dall’Iraq di Saddam Hussein per motivi politici, vive a Madrid. Lavora come autista di un furgone che distribuisce giornali e vive in un piccolo appartamento solitario, dove solo alcune vecchie foto del paese natio gli offrono qualche conforto. Selim è nato e cresciuto in una famiglia patriarcale e conservatrice, dominata dall’autorità e dal pugno di ferro del nonno, che ha educato figli e nipoti al rigido rispetto della tradizione islamica e, al tempo stesso, alla costante opposizione al regime di Saddam. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza nel villaggio natio, nei pressi di Tikrit, sulle rive del fiume Tigri, i volti dei genitori, del nonno, dei fratelli, delle sorelle e, soprattutto, dell’adorata cugina Alia, suo primo e unico amore, annegata nel Tigri, accompagnano Selim giorno e notte.

Ma un giorno il destino lo attende al varco e gli rivoluziona la vita: in una discoteca di Madrid, incontra per caso il proprio padre, che credeva ancora in Iraq. Nuah, il padre, è irriconoscibile: l’iracheno severo, rigidamente osservante, si è trasformato in un personaggio bizzarro, che sfoggia capelli tinti, indossa abiti stravaganti, porta più di un orecchino e gestisce una discoteca nel centro della capitale.

Il romanzo in Italia è stato pubblicato da Cicorivolta edizioni e tradotto da Federica Pistono, già traduttrice, tra gli altri, di Ghassan Kanafani, (L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), Uomini e fucili, Susine di aprile e Il cieco e il sordo, contenuti nell’opera dal titolo L’Innamorato). Ha inoltre tradotto Primavera nella cenere e altri racconti e la raccolta Il tuono, tratti dall’opera di Zakaryya Tamer, nonché il romanzo L’oasi del tramonto di Bahaa Taher, già vincitore dell’International Prize for Arabic fiction, Sarmada di Fadi ‘Azzam, romanzo finalista all’Arabic Booker Prize del 2012 e La nipote americana di Inaam Kachachi, dalla short list dell’International Prize for Arabic Fiction del 2009.

Uno dei temi del romanzo è quello degli iracheni che, emigrati in tutto il mondo, hanno perduto la propria identità nelle nuove case e nelle nuove vite, senza riuscire a inserirsi e ad integrarsi nella nuova società che li ha accolti. In questo romanzo profondo, Muhsin al-Ramli dimostra di essere un maestro, tocca le corde della nostra sensibilità illustrandoci pensieri e sentimenti dei personaggi, utilizzando una sottile ironia per affrontare temi drammatici (in primis lo spaesamento e la rassegnazione) ironia che dona alla storia un aroma poetico e piacevole. Come detto dalla traduttrice in una recente intervista: “Sicuramente è la storia di una maturazione nella condizione esistenziale del migrante.

Il protagonista fugge giovanissimo dal natio Iraq per approdare in Spagna dove diventa adulto: come ogni migrante, deve necessariamente lasciarsi alle spalle una parte di sé e reintegrare il suo io amputato, privato delle categorie di pensiero della cultura di appartenenza, con valori e stili di vita nuovi. In questo senso il personaggio si crea una coscienza e un modo di sentire europei. Quindi, da questo punto di vista, siamo di fronte a una storia di formazione.

Spesso i romanzi arabi contemporanei, specialmente quelli provenienti dalle aree devastate dalle guerre degli ultimi anni, come Iraq, Siria o Palestina, sono storie tragiche, affrontano i temi della dittatura, del carcere, della tortura, della guerra, della morte. Lo fa anche Muhsin Al-Ramli, che tratta nel suo romanzo tutti questi temi, dalla dittatura di Saddam, alla vicenda del padre del protagonista arrestato e torturato in carcere fino a riportare lesioni permanenti, ai lutti della guerra Iran-Iraq. Ma lo fa con una certa levità, con una vena di sottile ironia che pervade tutto il libro, anche i passi più drammatici. Per questo ho amato subito questo romanzo, per la sua capacità di far riflettere il lettore senza precipitarlo nell’angoscia.

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