Un padre di cui per ora non sappiamo nulla, litiga col figlio 15 enne “perché perdeva tempo con i videogiochi”, lo accoltella e poi si uccide. Pare un fatto di cronaca.

Non appare invece come un fatto di cronaca a chi frequenta regolarmente studenti, insegnanti e genitori.

Stiamo vivendo una trasformazione sociale epocale che ci coinvolge tutti. Ma coinvolge maggiormente i nativi digitali.

Grazie a Dio c’è internet” ripeto spesso riferendomi alla libertà di espressione che, per ora, ci è garantita dalla rete. Ma troppo spesso noi adulti non sappiamo distinguere tra il significato che internet ricopre per noi e quello che ricopre per i nativi digitali. Le potenzialità della rete sono enormi e possono migliorare la vita, intesa non solo come libertà di espressione. Ma questa potenzialità va conosciuta e guidata. La tecnologia è entrata nelle vite di molti italiani quando questi erano già adulti e dunque in grado, almeno la maggior parte, di accogliere i social network o l’iPad, la playstation e lo smartphone con raziocinio e, almeno parziale consapevolezza. Non così è stato per i nativi digitali che si trovano già durante l’infanzia a potere gestire mezzi tecnologici e possibilità di comunicazione infinite ma per i quali non posseggono strumenti di utilizzo adeguati.

Internet bullying research

 

E’ necessario sfatare un mito: i nativi digitali hanno grande dimestichezza nell’uso della tecnologia ma ciò non significa che ne facciano un uso consapevole e informato. E dunque smartphone e pc servono anche e talvolta principalmente a scaricare migliaia di ore di video di gatti che si fanno la doccia, a guardare per centinaia di ore youtuber che gareggiano a colpi di barzellette, a stare perennemente e spesso inutilmente collegati.

Gli insegnanti lo sanno: pochissimi spengono lo smartphone durante le lezioni, che viene silenziato e al contempo “controllato” costantemente per non essere mai disconnessi. Come non viene spento la notte perché anche quando si dorme è importante non restare separati dalla comunità. Non vi è stato alcun intervento pubblico educativo a sostegno di questo cambiamento che ha mutato profondamente i rapporti sia tra coetanei ma in particolar modo tra adulti e ragazzi. Il corpo docenti delle scuole elementari medie inferiori e superiori è formato per lo più da docenti donne in età matura che hanno davanti a loro classi numerose di nativi digitali con cui diventa sempre più difficile rapportarsi perché inadeguati sono spesso gli strumenti formativi: con una generazione che utilizza le immagini come linguaggio di comunicazione, la scuola continua a rapportarsi attraverso strumenti educativi spesso obsoleti, introducendo talvolta il tablet come fosse lo strumento risolutore, che spesso si rivela un fallimento perché i metodi educativi restano inalterati e inadeguati.

Le famiglie sono poi le più impreparate a gestire figli e figlie da cui sono separati da un gap comunicativo immenso che distanzia le generazioni di anni luce. Le grandi multinazionali telefoniche hanno scoperto gli adolescenti come lucroso target di riferimento perché è risaputo che l’oggetto del desiderio più ambito è lo smartphone, che deve essere sempre aggiornato.

Migliaia di genitori assistono impotenti alla trasformazione dei loro figli in soggetti perennemente connessi e mai presenti nel “qui e ora”. I litigi sono la costante in molte famiglie che non hanno gli strumenti per tamponare lo strapotere e la dipendenza dal telefonino. L’impotenza è il sentimento più diffuso tra i genitori. Il risultato è un continuo attribuirsi responsabilità: le madri ai padri per non sapersi imporre ad eliminare la tecnologia almeno durante i pasti, le insegnanti alle madri a cui rimproverano di non imporsi con autorevolezza per rendere i figli meno dipendenti, gli psicologi nel rimproverare le famiglie la loro inettitudine nel non essere in grado di imporre il loro ruolo.

La verità è un’altra e sta nella responsabilità delle istituzioni, nella loro ignoranza nel riconoscere il cambiamento e nella loro assenza nel fornire strumenti che andrebbero a garantire l’educazione consapevole ma ancor più la coesione sociale.

Se molti ritengono che la “colpa” di giovani perennemente connessi sia da imputarsi alle famiglie, la domanda da porsi è: come e da chi dovrebbero apprendere le famiglie a gestire la rivoluzione che ha investito i rapporti generazionali? Con che coraggio si imputa alle famiglie la responsabilità fingendo di dimenticare che siamo tra i Paesi con il più alto tasso di analfabetismo di ritorno tra gli adulti, la percentuale più bassa di lettori tra quotidiani e libri in Europa, e abbiamo una televisione pubblica che non investe in programmi educativi nelle reti di maggior ascolto?

E’ necessario ed urgente investire in formazione permanente, in corsi di educazione per adulti e per ragazzi che accompagnino i cambiamenti sociali. E questo è stato anche l’obiettivo che ha condotto alla stesura di una Carta dei Diritti in Internet e che dedica un paragrafo al tema educazione. La Carta è consultabile qui e tutti vi possono contribuire attraverso una consultazione pubblica aperta fino a fine febbraio. E’ un primo importante passo.

Articolo Precedente

Salvini, ‘nun ce piace ‘o presepe’

next
Articolo Successivo

Sabina Guzzanti a Rebibbia: Stato, mafia e bombe ‘stabilizzanti’

next