Deve essere espulsa. Il giudice ha deciso che Chiara (nome di fantasia), ventiduenne di origine senegalese, in Italia da quando era una bambina e vittima di abusi da parte della sua famiglia, deve tornare in Africa. La sentenza è stata depositata martedì dal giudice di pace di Biella Enza Sangianantoni che ha respinto il ricorso della ragazza contro il decreto del prefetto e ha deciso “l’immediata esecuzione dell’espulsione”.

Per il magistrato esiste “il pericolo di fuga, dal momento che la stessa non ha dimostrato di avere attività lavorativa e non ha stabile dimora, difettando quindi le condizioni per ottenere un permesso di soggiorno”. Eppure la ragazza convive a Torino con il fidanzato, un coetaneo italiano studente di giurisprudenza, e ha una promessa di assunzione firmata dal suo ex datore di lavoro, titolare di un bar del centro città pronto a riprenderla appena Chiara avrà i documenti in regola.

Molti sono gli elementi negativi presi in considerazione dal magistrato onorario, che nel dispositivo non ha valutato le condizioni familiari della ragazza: Chiara non ha rispettato il foglio di via del 20 giugno 2013, giorno in cui la questura di Biella le ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno e le ha intimato di allontanarsi dal territorio nazionale. Lei però ha visto il provvedimento solo il 12 febbraio scorso perché chi doveva notificarle l’atto la cercava nella casa dei genitori da cui era stata allontanata all’età di 14 anni per proteggerla dagli abusi perpetrati dal fratello maggiore e dalle cinghiate del padre.

Così a febbraio, fermata ad Alessandria per un controllo, i poliziotti le hanno detto che avrebbe dovuto partire. Inutili tutti i suoi sforzi per mettersi in regola e proseguire la sua vita in Italia. In estate era addirittura tornata dalla sua famiglia per poter ottenere i documenti utili. Poi i primi di novembre, tornata alla questura di Biella con la speranza di aver finalmente la carta di soggiorno, ha ricevuto il decreto di espulsione firmato dal prefetto il 28 ottobre.

Secondo il giudice con il rimpatrio in Africa non esiste nessun pericolo per la ventiduenne: “La ricorrente si trovava in Italia con visto di ricongiungimento familiare – si legge nella sentenza -, ma aveva interrotto la convivenza con i genitori e questi ultimi, sentiti dalle autorità, hanno confermato che la stessa non convive con loro”. Come se l’allontanamento dal padre che la picchiava e che voleva per lei un’educazione tradizionale fosse un capriccio. Nel suo ricorso la giovane, assistita dall’avvocato Raffaele Folino, aveva insistito su questo punto e aveva pure evidenziato che in Senegal non ha nessun familiare a cui appoggiarsi, se non un nonno molto anziano e una zia che non ha mai conosciuto, mentre il resto della famiglia è in Italia. Il giudice ha preferito credere ai genitori secondo i quali “ha dei parenti in Senegal dai quali poter andare”.

A svantaggio di Chiara ha giocato l’accusa di aver falsificato la data di scadenza di un vecchio permesso di soggiorno e l’aver abbandonato di nuovo la casa di famiglia dov’era obbligata a stare in attesa dell’espulsione: stando al suo racconto però è stato il padre stesso a cacciarla. Ora, per evitare di dover lasciare il Paese in cui è cresciuta e in cui vive da quindici anni, a Chiara resta un ultimo tentativo: richiedere il visto di tipo umanitario. La decisione spetterà alla questura di Biella.

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