Un comunicato del ministero del Lavoro nel giorno in cui Istat ha diffuso i dati sulla disoccupazione ha creato non poca confusione sul reale andamento del mercato del lavoro. Invece è indispensabile informare con chiarezza i cittadini, anche attraverso le statistiche. Soprattutto se ufficiali.
di Michele Pellizzari (Fonte: lavoce.info)

Due comunicati in un solo giorno

Venerdì 28 novembre l’Istat ha pubblicato i dati relativi alle forze di lavoro per il mese di ottobre 2014. Sembra di leggere un bollettino di guerra, come purtroppo accade dall’inizio della crisi. L’occupazione è diminuita di 55mila unità rispetto a settembre e la disoccupazione è aumentata del 2,7 per cento (9,2 per cento rispetto a ottobre 2013). Ovviamente per i giovani (15-24 anni) i dati sono molto più negativi: tra settembre e ottobre l’occupazione scende dell’1,7 per cento (-2,3 per cento rispetto a un anno fa) e la disoccupazione sale dello 0,6 per cento (+5,6 per cento rispetto a un anno fa).

Esattamente lo stesso giorno, anche il ministero del Lavoro ha emesso un comunicato stampa nel quale, sulla base di dati di natura completamente diversa (le comunicazioni obbligatorie sugli avviamenti e sulle cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato), dichiara che nel corso degli ultimi dodici mesi (ottobre 2013-ottobre 2014) sono stati creati circa 2 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro (2 milioni e 474 mila), di cui 400mila a tempo indeterminato. Si tratta, come dice il comunicato stesso, di una “prima indicazione che emerge da un’anticipazione dei dati forniti dal sistema informativo […]”, ovvero di dati non definitivi e non confermati. Sarò malizioso, ma lo vedo già il povero ricercatore addetto a estrarre i dati dal sistema informativo messo sotto pressione dal dirigente di turno per far saltar fuori qualche numero positivo il giorno stesso del comunicato stampa dell’Istat.

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C’era davvero bisogno di pubblicare dati provvisori proprio in quel giorno, confondendo le idee ai media e al pubblico meno avvezzo a districarsi tra le statistiche? Per esempio, il comunicato dice anche che a fronte dei 2 milioni e 474 mila nuovi contratti ci sono stati 2 milioni e 415 mila cessazioni di contratti, quindi con un leggero saldo positivo (sarà confermato nei dati definitivi?). Tuttavia, mentre si afferma che, tra i nuovi contratti, 400mila sono stati a tempo indeterminato, nulla si dice su quanti siano quelli di questo tipo tra le cessazioni. Il ministero conclude poi sostenendo che “questi dati […] confermano che il cosiddetto decreto Poletti […] ha prodotto l’esito che era auspicabile, cioè un incremento dei contratti a tempo indeterminato […]”.

Tralasciamo il fatto che il comunicato stampa non riporta quale sia stata la variazione netta dei contratti a tempo indeterminato e che, tra l’altro, il decreto Poletti è entrato in vigore a fine marzo, la domanda è un’altra: la norma non riguardava i contratti a tempo determinato e facilitava il loro rinnovo ripetuto? Dunque, c’era da aspettarsi piuttosto un aumento degli avviamenti di contratti a tempo determinato come effetto della nuova normativa. Bene che siano aumentati i contratti a tempo indeterminato, ma pare davvero difficile attribuirne il merito al decreto Poletti. Il comunicato si chiude dando appuntamento al 4 dicembre per i dati definitivi: “I dati completi delle comunicazioni obbligatorie relativi al 3° trimestre 2014 saranno diffusi con la Nota trimestrale mercoledì 4 dicembre”.

È vero che non si dovrebbe pensar male, ma sembra davvero che il comunicato sia stato emesso per bilanciare quello dell’Istat (e magari astutamente togliergli spazio mediatico). Che l’intenzione fosse questa oppure no, resta grave il fatto che si siano confuse le acque. Si rischia ancora una volta di minare la credibilità dell’informazione statistica, soprattutto di quella ufficiale dell’Istat, in un momento in cui il paese ha un disperato bisogno di chiarezza, anche statistica, per informare il dibattito pubblico. Il ministro Poletti ha l’età giusta per ricordarsi di un efficace spot pubblicitario anni Ottanta che, parafrasando, potremmo riadattare come “silenzio, parla Istat”.

Michele Pellizzari è professore di economia all’università di Ginevra dove dirige anche il Laboratoire d’Économie Appliquée. In precedenza è stato economista presso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) a Parigi e ha insegnato economia presso l’Università Bocconi di Milano. È senior fellow della Fondazione Rodolfo Debenedetti e Research Fellow dell’Istitute for the Study of Labor (IZA) di Bonn. PhD in economics alla London School of Economics e dottorato in economia presso l’università di Verona, ha trascorso periodi di ricerca presso le università di Stanford e Berkeley. I suoi principali interessi di ricerca sono nelle aree dell’economia del lavoro, dell’istruzione e dell’econometria applicata. Redattore de lavoce.info.
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