L’inceneritore di San Rocco, a Cremona, entro tre anni dovrà essere chiuso e si valuteranno soluzioni alternative a bruciare i rifiuti. In campagna elettorale, non più di otto mesi fa, l’allora candidato sindaco Gianluca Galimberti, poi entrato in municipio, lo aveva detto chiaro e tondo per la prima volta. L’assessore all’Ambiente e alla Salute ha ribadito il concetto tre giorni fa: “La scadenza è confermata”. Invece probabilmente non andrà a finire così, a meno di colpi di scena: nell’impianto cremonese verranno conferiti i rifiuti di provenienza extraregionale. Quindi prima del suo spegnimento passeranno non meno di dieci anni. La spiegazione di questa lettura, carte alla mano, la dà l’associazione cremonese per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica CreaFuturo, presieduta dall’ex parlamentare cremonese del Partito democratico Marco Pezzoni.

Un impianto, quello di Cremona, che serve 320.000 abitanti, composto di due linee di incenerimento (una entrata in funzione nel 1997, l’altra nel 2001), che tratta rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, dimensionato, si legge da sito della società che lo gestisce, “per il trattamento dei rifiuti dell’intera Provincia di Cremona”. Impianto che a detta di regione Lombardia, per la sua obsolescenza e perché tra i più inquinanti nel territorio lombardo, insieme a quello di Desio, sarebbe dovuto essere tra i primi ad essere spenti. Senonché la giunta Maroni ha riconosciuto all’inceneritore di Cremona, un paio di mesi fa, la classificazione R1 (quella di produttore di energia; prima, essendo D10, era solo smaltitore di rifiuti, seppur ottimizzato a recuperare energia). “Non un semplice passaggio di categoria, non solamente un formale cambio di resa energetica: in poche parole, infatti, sta a significare che l’impianto cremonese è più efficiente di altri”, spiega Pezzoni. Una prospettiva che gli farebbe acquisire una importanza strategica tale che una sua graduale dimissione non rientrerebbe più nell’ordine delle cose. Tutto quanto detto si intreccia con l’articolo 35 dello Sblocca Italia sulla Rete nazionale degli inceneritori, rispetto al quale la mozione consiliare sollecita il Comune a chiedere al governo la sua abolizione affinché a Cremona non si brucino rifiuti di provenienza extra-regionale.

Entro 90 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta del provvedimento (12 novembre), ossia il 9 febbraio, il governo elencherà quali inceneritori in sostanza continueranno a operare. Con ogni probabilità, anche sulla scorta del cambio di resa, ci sarà San Rocco, impianto peraltro sottoutilizzato (lavora al 60% rispetto delle sue possibilità) anche per l’incremento, in città e in Provincia, della raccolta differenziata. Il sito di smaltimento rifiuti cremonese potrebbe divenire centrale, assieme agli impianti emiliani, nella pianificazione nazionale prevista dallo Sblocca Italia. Una ipotesi suffragata dal fatto che nei giorni scorsi, in via strettamente riservata, Lgh-Aem – il gestore del termovalorizzatore – ha comunicato ai municipi del circondario, che qui conferiscono i loro rifiuti, il riconoscimento, la ‘promozione’ in R1 dal primo gennaio 2015. “Un altro paradosso – nota ancora Pezzoni – è questo: nella classificazione R1 non si tiene conto della vetustà della struttura, cosa che invece sta a cuore per ovvi motivi all’amministrazione locale”. Che si è impegnata concretamente per arrivare al decommissioning dell’inceneritore (smontaggio e decontaminazione), ma se i livelli europeo, nazionale, regionale (la Lombardia, con l’R1 cremonese, guadagnerà 20 euro per ogni tonnellata di rifiuto extra-regione) vanno in altra direzione, la strada per l’amministrazione locale è tutta in salita.

“La vittoria andrà alle lobby”, sintetizza amaramente il coordinamento di CreaFuturo. “Ha vinto Federutility (il consorzio delle municipalizzate, A2A in testa, ndr) che ha spuntato uno Sblocca Italia tagliato su misura. Una legge che sì cita le tecnologie alternative, a freddo, di smaltimento rifiuti (trattamento meccanico biologico), ma che poi non le incentiva”. Ci sono ancora due mesi per cambiare le cose, da oggi al 9 febbraio, “se Parlamento e Comune lo vorranno. Noi, dal canto nostro, non ci arrendiamo”.

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