Primi effetti sull’Italia dello stop al progetto del gasdotto South Stream, annunciato lunedì dal presidente russo Vladimir Putin. Roma aveva un ruolo di prima fila nell’infrastruttura che avrebbe dovuto trasportare in Europa il gas russo aggirando l’Ucraina: Eni è socia al 20% di Gazprom nel consorzio South Stream mentre Saipem, la società del gruppo specializzata proprio nella costruzione di gasdotti, aveva vinto una commessa da 2,4 miliardi di euro per la costruzione del primo tratto e la posa dei tubi sui fondali del Mar Nero. Se le azioni del Cane a sei zampe non sembrano risentire del niet di Putin, dietro il quale ci sono il forte aumento dei costi dell’opera e le crescenti difficoltà finanziarie di Mosca, il titolo Saipem martedì ha invece chiuso la seduta a Piazza Affari in calo del 10,84 per cento. Un crollo che, peraltro, potrebbe avvantaggiare un altro gruppo pubblico russo, Rosneft, dichiaratamente interessato a comprare la quota di Saipem che Eni intende a mettere sul mercato.

Il neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, in attesa di comunicazioni ufficiali sull’accantonamento del progetto South Stream, ora rilancia sul Tap, il discusso gasdotto Trans-Adriatico che dovrebbe approdare in Puglia e a cui si oppongono gruppi di cittadini ed enti locali. Il tubo destinato a portare nella Ue il gas dell’Azerbaigian “è uno dei mezzi di diversificazione” delle fonti di approvvigionamento e “può esserlo a maggior ragione dopo l’annuncio di Putin”, ha detto Gentiloni in conferenza stampa a margine della riunione dei ministri degli Esteri della Nato. Vero è che “ci sono limitati problemi di impatto ambientale in Puglia”, ma “saranno sicuramente risolti”.

Fatto sta che per Saipem, reduce da due anni difficili costellati da allarmi sugli utili e inchieste giudiziarie, è un duro colpo. Il gruppo che Umberto Vergine sta cercando di riportare alla redditività aveva ricevuto commesse del valore di 2,4 miliardi di euro per la costruzione dell’infrastruttura che avrebbe dovuto far arrivare il gas russo in Europa bypassando l’Ucraina e la decisione della Russia di mettere in soffitta l’opera priverà Saipem del 10% del suo portafoglio ordini. Dal canto suo la società ha dichiarato che al momento non ha ancora “ricevuto alcuna comunicazione di formale interruzione del contratto” da parte di South Stream, precisando che l’attività operativa è “in corso” e che “le modalità di interruzione dei lavori e di eventuale cancellazione sono disciplinate contrattualmente”.

Agli analisti sono però bastate le parole del presidente russo per considerare l’opera “morta” e bollarla come “negativa” per Saipem. Equita stima che nel 2015-2016 il contributo del South Stream ai ricavi sarebbe dovuto essere di circa 1 miliardo, con margini lordi di circa 200 milioni. Per Intermonte nel 2015 Saipem dovrà rinunciare a 1,8 miliardi di ricavi e 270 milioni di ebit (risultato operativo). Per Goldman Sachs il contributo nel 2015 avrebbe dovuto rappresentare circa il 37% dell’ebit. Questi effetti potranno essere in parte compensati dalle clausole di protezione del contratto, che potrebbero risarcire Saipem dei costi sostenuti e assicurarle – secondo Equita – una termination fee, cioè una penale calcolata in percentuale sul valore del contratto.

Enidal canto suo è interessata alla vicenda solo per il fatto di possedere il 43% di Saipem. Già da tempo il Cane a Sei Zampe non considerava più strategica l’infrastruttura di cui detiene una quota del 20%, ereditata dalla gestione di Paolo Scaroni, e per cui ha assunto l’impegno a investire 600 milioni di euro in quota capitale, in gran parte ancora da iniettare. A inizio novembre il nuovo numero uno, Claudio Descalzi, sentito dalla Commissione Industria del Senato, aveva escluso categoricamente impegni ulteriori, dicendosi disponibile a diluirsi o uscire.  “South Stream era un investimento di flessibilità delle infrastrutture e non di diversificazione delle fonti di approvvigionamento a differenza di Tap”, ha sottolineato l’ad di Snam, Carlo Malacarne. “Era sempre gas russo” e serviva “per gestire meglio le criticità geopolitiche”, legate al transito in Ucraina. Il Tap invece “è strategico proprio perché è una nuova fonte di approvvigionamento e aiuta a costruire un hub del Sud Europa”.

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