L’espulsione dei deputati Massimo ArtiniPaola Pinna, in violazione delle procedure interne previste, e la nomina di cinque nuovi “garanti” (in violazione chiara dell’art.4 del Non statuto) – come ho spiegato in questo post – hanno decretato la fine del M5S così come l’avevamo conosciuto.

Le vicende degli ultimi giorni segnano, infatti, un mutamento che cambia irremediabilmente il volto del M5S, con il rischio paventato di una deriva partitocratica che è sempre più evidente. La parabola discendente è iniziata con il risultato delle Europee, non tragiche ma deludenti. Bisognava interrogarsi, all’epoca, sulle cause e ammettere l’errore di una campagna elettorale ondivaga sull’euro. Invece, da allora, nonostante l’ottimo intermezzo del Circo Massimo che aveva rilanciato il Movimento e ricreato un importante legame con la base, si sono commessi tragici errori di comunicazione e di strategia politica: dall’espulsione degli attivisti di Occupypalco al post dell’immigrazione che alimentava il pericolo ebola, fino alla dilettantesca trattativa con Renzi, per citare solo i casi più gravi.

Grillo 675

Da quel momento, il Movimento ha cominciato a perdere lucidità e la campagna per le Regionali è stata un flop annunciato, particolarmente evidente in Calabria. E ancora, per la seconda volta in pochi mesi, bisognava prendere atto degli errori commessi e ripartire, ma invece si è ricominciato con i soliti banali autogol: in primo luogo, due nuove espulsioni che non seguono le procedure previste, ma che servono solo come chiaro monito a Pizzarotti e a tutti coloro che vorranno unirsi a lui il 7 dicembre, e, in secondo luogo, la nomina di cinque garanti che poco hanno a che fare con l’idea iniziale di democrazia diretta.

E Grillo in tutto questo? Il ruolo che da sempre si è attribuito, quello del garante di poche semplici regole, non esiste più, in quanto quelle regole vengono in modo ripetuto infrante. Il leader indiscutibile, colui senza il quale non ha neanche senso parlare di Movimento Cinque Stelle, si sente un po’ stanchino e ha deciso di fare un passo di lato. Le grandi personalità, i grandi capi si vedono nel momento della sconfitta, nella forza di reagire agli eventi, nella lucidità dell’analisi per ripartire. Non è questa l’impressione che Grillo ci lascia: dopo averci fatto sognare, sta distruggendo con le sue stesse mani la sua creatura, il nostro sogno.

Una condivisione di responsabilità era forse inevitabile ma il modo verticistico in cui è avvenuto non ha niente a che fare con i principi del M5S: la democrazia diretta della rete è diventato solo una strumento per ratificare decisioni già prese (il metodo Sciarra divenuto modus operandi su tutto).

Difficile dire che cosa succederà ora con questi cinque nuovi primus inter pares. Il gruppo dei dissidenti interno tra i portavoce, sempre più numeroso, non pare avere né la forza né la volontà per creare un nuovo gruppo parlamentare, anche se bisognerà aspettare il 7 di dicembre e la riunione non autorizzata che Pizzarotti ha indetto a Parma per vedere se ci sarà una vera e propria scissione. E comunque, se anche dovesse avvenire, nascerebbe un nuovo partitino che andrebbe a frammentare ulteriormente la forza dell’opposizione. Un regalo a Renzi, il secondo dopo la dilettantesca gestione della trattativa-non trattativa che è servita solo a fortificare la posizione del premier nel Patto del Nazareno.

Il rischio a questo punto non è neppure la scissione, ma una lunga e lenta agonia nella trasformazione partitocratica. Il paese reale ha bisogno di una forza che sappia portare le istanze della società all’interno dei palazzi della politica. Bisognerebbe  riacquistare lo spirito delle origini. Ritornare nelle città e ripartire da un territorio sempre più martoriato. Il primo comunicato politico del Movimento Cinque Stelle iniziava così: “La democrazia può partire solo dal basso. Il nuovo Rinascimento avrà origine nei Comuni”. Ritornare fra la gente, non solo la nostra gente; ma i cittadini  che sono stanchi della politica e ora ahimè anche un po’ di noi. A contatto con disoccupati, poveri, occupati a tempo determinato, movimenti di base, artigiani, piccoli imprenditori, tutti quelli insomma che non hanno alcuna rappresentanza politica e che non votano più. Dobbiamo, insomma, tornare ad essere quello che eravamo. L’origine è la meta.

Una cartina di tornasole sarà la prossima elezione del Presidente della Repubblica. Le quirinarie, il primo meraviglioso esempio di democrazia diretta che aveva mandato in tilt il sistema pochi mesi fa, ci dirà tutto sul futuro del Movimento Cinque Stelle. Se la procedura che verrà usata seguirà il metodo Sciarra, vale a dire la trattativa di alcuni portavoce con i partiti dominanti e poi la ratifica della rete (in cui ormai votano solo pochi iscritti), la deriva partitocratica e rappresentativa sarà ultimata. Se, al contrario, si ritornerà al sistema originario – le quirinarie, va ribadito con forza, rappresentano l’esempio emblematico di come la democrazia diretta possa funzionare – vorrà dire che il Movimento esiste ancora. Il Movimento Cinque Stelle ha cambiato molto la politica ora il rischio che sta correndo è di farsi cambiare dalla politica.

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