La Procura di Roma ha notificato tre avvisi avvisi di garanzia per altrettanti dirigenti di “Lazio Service“, la società partecipata dalla Regione Lazio, al centro dell’inchiesta che vede coinvolto il deputato Pd Marco Di Stefano, indagato per aver intascato una tangente da 1.8 milioni di euro dai costruttori Pulcini in cambio di due contratti milionari per l’affitto di due palazzi della Regione. I tre, il direttore amministrativo Tonino D’Annibale, il direttore innovazione e sviluppo Claudia Ariano e il direttore generale Giuseppe Tota, sono stati accusati di truffa e abuso d’ufficio dai pubblici ministeri Maria Cristina Palaia e Corrado Fasanelli per aver certificato la congruità dei contratti sottoscritti con i Pulcini. Emerge, tra l’altro un particolare collegamento con un’altra vicenda giudiziaria legata al deputato Pd: Claudia Ariano, tra i manager coinvolti, avrebbe avuto una relazione con Alfredo Guagnelli, l’ex braccio destro di Di Stefano scomparso nel nulla 5 anni fa e per il quale la procura procede per omicidio volontario.

Il deputato del Partito Democratico, tra i protagonisti dell’ultima Leopolda renziana, è sotto indagine per corruzione e falso nell’inchiesta romana sulla vendita di palazzi all’Ente previdenziale dei medici. La vicenda risale al 2009: Di Stefano, allora assessore al Demanio della regione Lazio nella giunta presieduta da Piero Marrazzo, avrebbe intascato la tangente dagli imprenditori edili romani Pulcini, ai domiciliari da fine ottobre, per assicurare ai costruttori due contratti d’affitto milionari per conto della “Lazio Service”, controllata proprio dalla Regione. Negli atti dell’inchiesta si legge che Di Stefano promosse e autorizzò “al solo fine di soddisfare gli interessi economici dell’imprenditore Antonio Pulcini la ricerca di una nuova sede”. Nei giorni scorsi era stato rintracciato un deposito bancario in Svizzera riconducibile al parlamentare: proprio in quel conto, secondo i pm, sarebbero stati indirizzati i soldi della maxi tangente per l’affitto dei due immobili.

Ad accusare Di Stefano erano stati l’ex moglie Gilda Renzi e Bruno Guagnelli, fratello di Alfredo, stretto collaboratore del deputato del Pd: “Mio fratello mi raccontò – ha rivelato Bruno Guagnelli – che Antonio Pulcini gli disse che il deputato aveva preteso un milione e 800mila euro per il buon esito di un affitto o di un acquisto di un palazzo di cui aveva bisogno la Regione Lazio nel 2009″. L’interessato aveva respinto le accuse: “Quanto mi si attribuisce – si legge in una nota – esula completamente dalle competenze politiche che rivestivo all’epoca”. Un testimone chiave sarebbe Alfredo Guagnelli, anch’egli accusato di aver intascato una tangente, di 300 mila euro, dai costruttori romani.

Di Alfredo, però, non si hanno tracce dall’8 ottobre del 2009. La Procura di Roma, lo scorso 26 novembre, ha deciso di procedere per omicidio volontario. Gli inquirenti, coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone, hanno ritenuto che ci fossero elementi non riconducibili a un allontanamento volontario. Il fratello Bruno aveva avanzato questa ipotesi in un’intervista dal Brasile, dichiarando che Alfredo era stato ucciso e il suo cadavere fatto sparire. Nell’intervista, Bruno Guagnelli ha spiegato che la sua fuga in Sudamerica fu dovuta a pericolose compagnie, legate alla scomparsa di Alfredo. Di Stefano ha sempre negato il coinvolgimento di Guagnelli. “Non e’ mai stato un mio assistente o collaboratore – aveva detto -, ma un semplice amico con cui condividevo esclusivamente momenti di vita privata e mai la mia attività politica”.

AGGIORNAMENTO
Per completezza dell’informazione, precisiamo che in data 29 maggio 2018, il Tribunale di Roma ha emesso una sentenza di non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati per intervenuta prescrizione

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