Quando inizierà la discussione ancora non è sicuro, quanti emendamenti cercheranno di modificare il disegno di legge sulle riforme costituzionali invece è già noto. Sono oltre mille e potrebbero arrivare fino 1300, secondo quanto dice all’Ansa il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Francesco Paolo Sisto (Forza Italia). Secondo Sisto il numero è “indicativo” di una volontà non ostruzionistica da parte dei gruppi. “E’ stato accolto il mio invito a mantenere i toni nell’ambito del dibattito”, spiega. Per il calendario della discussione del testo e delle proposte di modifica si dovrà attendere l’Ufficio di presidenza della commissione, convocato per domani 25 novembre nel primo pomeriggio. L’esame delle proposte di modifica del ddl è atteso in Aula il 10 dicembre. Tra queste diverse sono della minoranza Pd: una prevede che il governo non possa porre la questione di fiducia sulle leggi delega, come per esempio ha fatto sul Jobs act.

Di questi mille la metà è a firma del Movimento 5 Stelle, 150 arrivano dal Pd, 29 da Ncd, 179 da Sel, un centinaio dalla Lega e un centinaio da Forza Italia. “I nostri emendamenti sono alternativi al disegno renziano – spiega il capogruppo di Sel in commissione Stefano Quaranta – che mortifica il Parlamento e non risolve i problemi. Non è sicuramente togliendo il voto ai cittadini per il Senato che l’Italia uscirà dalla più grave crisi economica del dopoguerra, anzi a rischio sono la rappresentanza e quindi la democrazia”. Per il vendoliano “Renzi e la sua maggioranza, anche dopo il drammatico voto di astensione di queste ore, invece di porre rimedio a questa mancanza di fiducia nelle istituzioni da parte di rilevanti settori del paese, proseguono come se nulla fosse. Invece, chi guida il paese si dovrebbe porre qualche domanda sul perché gli italiani continuano ad allontanarsi dalla politica”.

“L’impianto costituzionale che ci arriva dal Senato lo confermeremo – dice Emanuele Fiano (Pd), relatore del testo – Un Senato di secondo livello e delle autonomie, la ripartizione delle competenze, l’abolizione della materia concorrente. All’interno di questo impianto alcuni deputati Pd hanno presentato proposte di modifica anche parziale di alcuni meccanismi, che valuteremo con serenità”. Alcuni emendamenti, di natura per lo più tecnica, sono condivisi dalla larga parte del gruppo. C’è ad esempio una proposta di modifica per dare a un quinto dei parlamentari (il testo del Senato prevede siano un terzo) la possibilità di chiedere un controllo preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali. Altri invece ripropongono cambiamenti già bocciati al Senato. Fiano peraltro – come ha raccontato ilfattoquotidiano.it – nelle settimane scorse ha anche cercato i deputati M5s per capire quali modifiche propongono al testo (e quali possono essere accolte).

“Senato come il Bundesrat tedesco e no fiducia su legge delega”
Quanto alla minoranza Pd, è difficile arrivare a cambiamenti incisivi, visto che alla Camera la maggioranza ha una larga maggioranza. Tuttavia la sinistra democratica ci prova. E tra le varie proposte di modifica ne spunta anche una che chiede un modello di Senato non più – come ora – composto da consiglieri regionali, ma analogo al Bundesrat tedesco, esattamente ciò che già aveva provato a proporre Vannino Chiti durante l’esame del disegno di legge al Senato. Tra gli emendamenti firmati da Alfredo D’Attore, Andrea Giorgis e Giuseppe Lauricella uno fissa anche l’entrata in vigore della riforma costituzionale allo scadere dei mille giorni, il 29 maggio 2017. Fino ad allora – dunque -, se questa proposta fosse approvata, il Senato sopravviverebbe per come l’abbiamo conosciuto finora. Ma non solo. Un altro emendamento prevede anche che su una legge delega, come per esempio il Jobs act, “il governo non può porre la questione di fiducia”: E sulla riforma del lavoro il governo al Senato ha posto la fiducia.

Pareggio di bilancio, composizione e capo dello Stato
E torna un’altra richiesta di modifica che la minoranza Pd aveva presentato anche al Senato: la modifica dell’articolo 81 della Carta, sul pareggio di bilancio: l’emendamento firmato da Giorgis e altri chiede di scomputare la spesa per investimenti dai vincoli del pareggio di bilancio. Un altro a firma di Giuseppe Lauricella cancella il pareggio di bilancio e il patto di stabilità interno, “per sganciarsi da una politica di austerità”.

Emendamenti di Pd e M5s riguardano invece la composizione del Parlamento. Per il Movimento 5 Stelle bisogna fissare il numero in 150 senatori e 315 deputati. Per la minoranza del Pd invece bisogna tagliare il numero dei deputati: 500 di cui 10 eletti (e non più 12) nella circoscrizione estero.

Infine il modello di elezione del presidente della Repubblica, sulle cui modifiche sembra ci sia un sostanziale accordo nel Pd è l’ampliamento della platea per l’elezione del capo dello Stato: si passerebbe dalla maggioranza assoluta prevista dal testo del Senato dopo il nono scrutinio, ai 3/5 dei votanti dopo il sesto scrutinio.

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