Sei mesi per vilipendio del capo dello Stato. È stata accolta la richiesta del pm di Roma di condannare a sei mesi Francesco Staorace, leader del La Destra. Una vicenda che nasce nel 2007 e che si è conclusa oggi con una sentenza di primo grado. All’epoca l’ex ministro della Sanità e presidente della Regione Lazio rivolse un attacco alla senatrice a vita Rita Levi Montalcini sostenendo, in sintesi, che rappresentava una sorta di “stampella” del governo allora presieduto da Romano Prodi. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenne a difesa del premio Nobel e venne a sua volta attaccato dal leader de La Destra, che definì “indegno” il comportamento del Quirinale. Il giudice monocratico di Roma Laura D’Alessandro nella verdetto ha riconosciuto le attenuanti generiche ed ha disposto la sospensione della pena. “Sono l’unico italiano condannato per questo reato. Questa decisione – ha detto ancora Storace- è stata presa su commissione”.

“Successivamente ebbi modo di chiarirmi con il presidente Napolitano, ho avuto modo di farlo nel corso di un lungo colloquio al Quirinale alcuni anni fa ma il processo penale è andato avanti lo stesso”  ha spiegato più volte Storace. L’avvio dell’indagine era scattato dopo il via libera del ministro della Giustizia, Clemente Mastella. L’ex ministro in passato aveva dichiarato spiegato di essere “pronto ad affrontare anche il carcere”. Ma difficilmente accadrà con una sentenza con una pena così bassa.

Oggi Storace era ritornato alla carica: “Hanno inventato il vilipendolo. Il vilipendio che dondola, a seconda di chi è accusato di commetterlo e nei confronti del presidente della Repubblica. Oggi lo verificheremo con la bilancia della giustizia, in una sentenza che conosceremo nel pomeriggio, dopo sette anni dai fatti, per il processo che riguarda lo scontro polemico che ci fu tra me e Giorgio Napolitano nel 2007. Oggi saprò finalmente se sarò assolto o condannato, se ho diritto a criticare atti che contesto o se merito la galera. Senza appello, perché non vorrei sconti da uno che dovesse punire la lesa maestà; nel momento in cui un numero crescente di ladroni resta in libertà, si può finire dentro più per la parola che per la mazzetta”.

Nel corso del suo intervento l’accusa aveva  riconosciuto le attenuanti generiche alla luce della “condotta dell’imputato” che si è recato dal “presidente per chiedere scusa” ma ha ribadito che “il reato si è verificato e non può essere riconosciuta l’immunità parlamentare”.

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