Sono stati reintegrati. Parliamo ancora degli organici dell’Opera di Roma: manca l’approvazione del Cda che si riunisce il 24 di questo mese, ma mi piace considerarla una formalità, visto il coro unanime che ha difeso i musicisti dell’Opera di Roma, a cui si sono uniti perfino i Berliner Philarmoniker e Ennio Morricone, a riprova dell’eco provocata da un provvedimento tanto ingiusto.

teatro opera 645

Di questi giorni è pure l’articolo di Alberto Mattioli su “La Stampa” che apre il varco a nuove considerazioni; il pezzo commenta la meticolosa analisi del mensile “Classic Voice” sul mondo dei Teatri d’Opera in Italia, soffermandosi spietatamente sui costi, ovvero i salari, comparandoli ai ricavi, ossia le ore di lavoro. Il saldo, rapportato ai dati che vengono dall’estero, è deficitario, anche se alcune isole felici dimostrano che il gap non è incolmabile, pur con le anacronistiche regole che regolano il mercato della musica in Italia.

I teatri d’Opera producono poco e la competenza specifica di chi li dirige è scarsissima. A tale arcinota conclusione giunge il Mattioli e da qui vorrei partire per tentare l’individuazione di strategie per invertire la tendenza.

Il sindaco Marino incarna la figura dell’amministratore pubblico di scarsa competenza, collocato -e mi viene da dire “a sua insaputa”- dal Pd sulla poltrona di sindaco di una metropoli europea con esigenze e problemi enormi. Il buon senso suggerirebbe che il Sindaco di una città di quasi tre milioni di abitanti debba provenire dalla città stessa, garantendo così una sua conoscenza “genetica” e storica della realtà cittadina, ma nessuno ha -ovviamente- sollevato questa intuitiva obiezione. Prevale, come sempre, la logica della spartizione partitica delle poltrone. Così si sono assommate leggerezze ed errori che hanno condannato Marino a una vita pubblica breve: ad esempio, vietare il centro di Roma alle moto è pura follia e fare un sopralluogo a Tor Sapienza, focolaio di intolleranze e violenze, solo dopo 4 giorni di disordini, scava un fossato ancora più profondo tra cittadini e istituzioni. Ma per mala sorte -soprattutto nostra- Ignazio Marino è anche Presidente del Cda dell’Opera e in quanto tale, insieme al sovrintendente Fuortes, responsabile della vergognosa vicenda.

Che fare? Certo il rientro dei licenziamenti passa attraverso tagli e congelamenti di salari, che verranno reintegrati se e quando si potrà incrementare la produttività. Anche qui, nessuno parla di tagliare stipendi e prebende di poltrone e incarichi inutili, che costellano il monumentale apparato dell’istituzione romana. In questo del tutto simile al nostro governo, non sacrifica nulla dei suoi privilegi: di là sacrifici solo per i musicisti, di qua solo per i cittadini.

Chi ama la cultura e la considera motore di ogni società auspica l’allontanamento di chi si è dimostrato un burocrate, solamente animato da interessi personali o di partito. Chi dirige un’istituzione culturale deve avere un curriculum allineato e deve essere alimentato dalla passione, la stessa che anima chi la musica la crea. In difetto, si corre il rischio che violoncelli e fagotti vengano usati per far legna d’inverno.

Una volta nella stanza dei bottoni, sarà facile per chi è competente trovare iniziative a costo irrisorio che impegnino i musicisti e che alimentano le casse: penso a prove aperte a ingresso ridottissimo o gratuito, a iniziative fittissime che educhino la comunità alla musica, a tutto ciò che rinsaldi i legami tra le istituzioni musicali e la comunità. Penso dunque a una vita culturale che sia militanza vera, che impegni tutti, anche in considerazione di un fatto purtroppo ineluttabile: ci aspettano anni difficili, ben oltre quanto i media e il governo che li addomestica vogliano dipingere. Se non interverranno cambiamenti di rotta radicali, che non paiono possibili con questa classe politica, gli stanziamenti di bilancio per teatri e cultura in generale si ridurranno progressivamente.

Lo sciopero, unica arma efficace quando tutte le mediazioni risultano vane, mantiene una valenza insostituibile. Impoverire la qualità degli spettacoli è prassi ormai diffusa e la soglia di fruitori capaci di accorgersene si riduce sempre di più, complici l’educazione musicale offerta dal nostro sistema scolastico e gli addomesticatissimi media. Un sipario chiuso e un annuncio, a sala piena, è un messaggio che raggiunge tutti. Vietato dimenticarlo.

Articolo Precedente

Beni culturali: Foggia, la Masseria Pantano e il villaggio neolitico abbandonati al degrado

next
Articolo Successivo

Fabi-Silvestri-Gazzè: ‘Il padrone della festa’ è qualcosa di epocale

next