Il rublo ha perduto in poche settimane quasi il 30% del suo valore rispetto al dollaro e all’euro. E tutti, qui in occidente, a fregarsi le mani: la Russia non ce la fa a resistere a lungo nel braccio di ferro con l’America e l’Europa. Li stroncheremo. Hanno già perso la prima Guerra Fredda, perderanno anche la seconda.

Forse sarà così, vedremo. Ma diamo un’occhiata al resto del mondo. Il Giappone – scrive Paul Craig Roberts – ha perduto il 35% del valore dello yen rispetto al dollaro da un anno a questa parte, cioè dal momento in cui, imitando il dollaro, ha cominciato il proprio Quantitative Easing (Qe, che significa, in sostanza, produzione di denaro dal nulla).

Obiettivo produrre inflazione in base al postulato della famosa “curva di Phillips”, secondo la quale la crescita economica è proporzionale alla crescita dell’inflazione. Proporzionalità che funzionerebbe anche alla rovescia.

In realtà un anno di Qe giapponese ha prodotto recessione giapponese. Ma a Tokyo decidono, diabolicamente di perseverare. Come i giocatori alla roulette, che raddoppiano la posta a ogni giro, nella speranza che, prima o dopo, il “numero” uscirà. Infatti il loro Qe salirà da 50 a 80 trilioni di yen nel 2015. (più 60%). Auguri.

In realtà non c’è alcuna spiegazione, secondo le logiche del mercato. Si dovrebbe rinunciare e scegliere qualche altra strategia. E, dunque, perché insistono? La spiegazione può essere una sola: al Giappone è stato ordinato di demolire la propria moneta per proteggere il dollaro Usa. Il quale, a sua volta, è stato moltiplicato vertiginosamente da un Qe che dura, in pratica, dal 2008.

Il Giappone, cioè, si comporta come un vassallo. Eppure è la terza economia mondiale. Eppure può “liberamente” stampare i suoi yen. Vorrei che i sostenitori del ritorno alla lira dell’Italietta attuale ci facessero una pensata. Noi non siamo più nemmeno i settimi. E non siamo certo meno vassalli di Tokyo. E chissà con quanta forza potremmo resistere agli ordini di Washington. Ma lasciamo perdere le nostre piccole tristezze nazionali.

Diamo un’occhiata agli effetti della produzione di denaro a go go negli Usa. L’inflazione dei prezzi al consumo risulta bassa. Vero o falso? La mia impressione (che coincide con quella di Roberts) è che le cifre sono truccate. Sempre per lo stesso motivo: salvare il dollaro. Non si può dimostrare, però, perché lor signori hanno il controllo della roulette.

Fino a un certo punto però. Il Qe ha creato inflazione da un’altra parte. E si vede: nei prezzi dei titoli azionari e obbligazionari. Ora hanno deciso di fermarlo. Perché? Perché le banche hanno una valanga di denaro depositata presso la Federal Reserve e saranno loro a comprare i titoli.

Finché ce n’è, s’intende. Poi pensano di ricominciare d’accapo. E qui è difficile dire se sono proprio matti o se sono soltanto furbissimi. Infatti la mongolfiera difficilmente può alzarsi all’infinito nello spazio cosmico dove non c’è più aria. Prima o dopo si rompe.

I furbi padroni universali di questo non si preoccupano, convinti come sono che è ben vero che molti hanno mangiato la foglia, ma è anche vero che nessuno è interessato a dire che il re è nudo, perché dirlo significherebbe provocare il crollo. Dunque tutti zitti e si proceda.

Dove però si vede bene il trucco (consistente, sempre e comunque nel sostenere il dollaro), è sull’andamento del prezzo dell’oro e dell’argento. Fino a tre anni fa il dollaro perdeva stabilmente terreno rispetto all’oro. Ma, alla lunga, questo avrebbe penalizzato Wall Street e la City of London, spingendo gli investitori a cercare rifugio nei metalli invece che nelle azioni e obbligazioni, e soprattutto nei derivati. Così hanno cominciato massicce svendite di oro, riducendo il suo prezzo, a vantaggio del dollaro.lingottioro_interna nuova

Risolto il problema? Niente affatto. La domanda d’oro e d’argento è altissima su tutti i mercati, specie su quello cinese, mentre l’offerta è artificialmente limitata. Cosa si fa? Lo dicono le cifre: il terzo trimestre del 2014 è stato il 15-esimo trimestre consecutivo di acquisti netti da parte della Banche Centrali. L’offerta resta limitata (per le ragioni di cui sopra), e quello che c’è se lo prendono loro.

Conclusione: i prezzi vigenti sono un imbroglio palese. Il tutto conferma, oltre ogni ragionevole dubbio, che il castello di carte viene tenuto insieme da un’associazione a delinquere composta dalle maggiori banche private d’investimento e dalle autorità finanziarie dei maggiori paesi, che agiscono ai loro ordini.

Niente di più, e di meglio, che un gioco d’azzardo. Ma truccato. Resta solo da vedere quando si romperà, visto che sta in piedi solo perché tutti hanno paura.

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