Alberto Nagel aspetta di sapere se sarà rinviato a giudizio per ostacolo alle autorità di vigilanza. Sarebbe un fardello pesante, per l’amministratore delegato di Mediobanca. Per il suo difensore, il professor Mario Zanchetti, i documenti che il pm Luigi Orsi ha depositato al termine di 27 mesi d’indagini non contengono nulla che provi il reato: la Consob non è stata tenuta all’oscuro di un patto segreto tra Nagel e Salvatore Ligresti, perché non c’è stato alcun patto segreto, alcun contratto nascosto. Il cosiddetto “papello”, firmato dal numero uno di Mediobanca il 17 maggio 2012, era soltanto un foglietto di carta con i desideri (irrealizzabili) della famiglia Ligresti che stava per uscire di scena. Lo dice nel suo interrogatorio del 13 luglio 2012 la stessa Jonella Ligresti, figlia di Salvatore: Nagel si sarebbe impegnato soltanto a “cercare per quanto nelle sue possibilità di dar seguito a quegli accordi”.

Non è un contratto, dunque, ma soltanto una vaga promessa strappata controvoglia, quella di riconoscere “45 milioni netti” più “700 mila euro all’anno per cinque anni a testa” per quattro membri della famiglia, buonuscite e consulenze per i figli Jonella, Giulia e Paolo Ligresti; contratto con Hines per Salvatore; più uso gratuito di uffici e foresterie a Milano e del Tanka Village in Sardegna. Per i Ligresti, invece, quelle non erano le loro pretese, ma le proposte di Mediobanca per farli uscire di scena. 

Il patto viene scritto a mano da Jonella, firmato da Nagel e Salvatore e poi, per il pm, “nascosto in cassaforte dall’avvocato Cristina Rossello, segretario del patto di sindacato di Mediobanca”, senza comunicare alla Consob le promesse fatte. Rossello, nel suo interrogatorio a Orsi, racconta che “Ligresti sembrava un leone ferito” e diceva che lui “era stato in galera ai tempi di Tangentopoli e non aveva fatto nomi, per non tradire la fedeltà a Mediobanca”: come a sottolineare l’ingratitudine dei banchieri che ora lo mettevano da parte. Per ricostruire i rapporti tra Mediobanca (registra dell’operazione che estromette i Ligresti e consegna le loro aziende a Unipol) e Consob (la commissione che dovrebbe vigilare sul mercato ma che è invece sospettata dal pm di aver fiancheggiato la banca di Nagel), Orsi mette sotto controllo, dal 6 dicembre 2013 al 3 marzo 2014, i telefoni di Stefano Vincenzi. È il capo dell’ufficio legale di Mediobanca, l’uomo che tiene i rapporti con la commissione guidata da Giuseppe Vegas. Vincenzi parla soprattutto con Angelo Apponi, il braccio destro del presidente Consob. Ma il “papello” è del 2012, due anni dopo i giochi sono ormai fatti.

Nel “memoriale” di Giulia Ligresti, sequestrato dai pm torinesi a casa della figlia di Salvatore e poi consegnato anche a Orsi, viene ricostruita, giorno per giorno, l’operazione che porta la famiglia a perdere il controllo del gruppo. Il primo colpo, secondo questa ricostruzione, arriva già nel 2011 da Piergiorgio Peluso, il figlio dell’ex ministro Anna Maria Cancellieri, amica della famiglia. Peluso, accettato come direttore generale di Fonsai, è accusato di essere un traditore, il “cavallo di Troia” di Mediobanca. Vende una quota di Fonsai al fondo Amber, che entra in partita e lancia i primi siluri contro la compagnia assicurativa, denunciando una serie di operazioni ritenute illegittime. Tre giorni dopo, arriva la Consob a chiedere i primi chiarimenti. Nello stesso periodo, Peluso decide con le banche un nuovo aumento di capitale per Fonsai che parte da 400 milioni e arriva, nel gennaio 2012, alla cifra record di 1,1 miliardi. La vicenda precipita tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Salta il primo piano di salvataggio del gruppo. Premono Consob e Isvap (l’Autorità di controllo sulle assicurazioni). “Apponi e Vegas”, si legge nel memoriale, “hanno comunicato che la procura non vuole che i 4L (i quattro Ligresti, ndr) abbiano benefici economici”.

Gerardo Braggiotti (advisor di Premafin) dice ai Ligresti: “Non solo per Nagel siete già morti, ma vi ha già fatto il funerale con Unipol”. Le ore diventano concitate, nella “coincidenza del termine imposto dall’Isvap con la tempistica frettolosa imposta da Mediobanca”. Il 27 gennaio sono strepiti in famiglia: “L’avvocato Giuseppe Lombardi, alterato, urla a Paolo Ligresti che non si può lavorare in quel modo, che è un irresponsabile e che se non cambia idea lui manderà in vacanza la sua squadra”. Il 28, Federico Ghizzoni (ad di Unicredit) “riferisce a Jonella Ligresti che è al corrente già da due giorni dell’orientamento informale di Consob in merito alla necessità di modificare l’operazione”. Ma è sempre il 28 gennaio che “Nagel, Pagliaro, Ghizzoni, Cimbri garantiscono ai 4L, alla presenza e assistiti dall’avvocato Marco De Luca e Braggiotti”, i contenuti del “papello”. Poi si va verso il matrimonio con Unipol, senza alcuna garanzia per i Ligresti. Tranne quei tre foglietti chiusi nella cassaforte di Mediobanca che ora potrebbero costare a Nagel un rinvio a giudizio.

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