Come spiegare il fatto che il ministro degli Esteri della Repubblica Italiana Paolo Gentiloni non abbia accolto la richiesta di incontro formulata dal suo omologo ecuadoriano Ricardo Patiño, in visita ufficiale nel nostro Paese? Gentiloni avrebbe dovuto incontrare Patiño. Intanto per la dovuta cortesia che deve reggere le relazioni internazionali fra gli Stati. Poi, per i rapporti particolarmente cordiali e proficui che esistono fra il nostro Paese e l’Ecuador. Ultimo ma non meno importante, per la delicatezza e l’importanza, dal punto di vista umano, del tema del quale Patiño avrebbe voluto parlare con Gentiloni, e cioè il fatto che un centinaio di minori ecuadoriani, appartenenti a famiglie migranti, siano stati separati dai genitori, con procedure e decisioni forse alquanto sbrigative.

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In Italia esiste un’ampia comunità di immigrati ecuadoriani, il cui arrivo in massa risale alla seconda metà degli anni Novanta, anni bui dei governi neoliberisti precedenti all’attuale del presidente Correa quando, per effetto della devastante crisi economica indotta da decisioni scellerate, furono milioni gli ecuadoriani costretti ad emigrare per sopravvivere.
Oggi gli ecuadoriani in Italia sono oltre novantamila, rappresentando per dimensione la sedicesima comunità presente nel nostro Paese e la seconda fra quelle provenienti dal continente americano. In grande maggioranza tale immigrazione è stata composta da donne che si sono dedicate a lavori di cura, le cosiddette badanti. Si contano oggi oltre ventiduemila minori ecuadoriani soggiornanti in Italia.

La vita dei migranti, si sa, non è mediamente facile. E’ compito dello Stato di accoglienza provvedere condizioni idonee al loro soggiorno e all’integrazione, specie dei giovani della cosiddetta seconda generazione. Ad ogni modo va tutelata la famiglia migrante, il che risulta particolarmente difficile quando le madri si dedicano praticamente in permanenza ad attività di cura delle persone.
Il contributo che queste donne, come anche quelle provenienti dai Paesi dell’Est europeo e da altre situazioni, danno al nostro sistema sociosanitario, andrebbe riconosciuto e valorizzato. Può invece accadere che siano loro sottratti i figli. In alcuni casi limite ciò potrebbe essere inevitabile, ma, prima di procedere a una decisione di questa portata, occorrerebbe che siano esaminate ed acquisite a fondo le ragioni delle famiglie.

La richiesta del ministro Patiño di incontrare il suo omologo Gentiloni nasceva per l’appunto dalla preoccupazione che ciò non avvenga sempre in modo dovuto. Il ministro degli Esteri ecuadoriano ha segnalato il pericolo che, mediante decisioni di questo genere, si proceda a un “sanzionamento della povertà”. Questo perché, data l’esistenza di barriere linguistiche e la non conoscenza dei propri diritti da parte dei migranti, sussiste un concreto rischio di violazione dei diritti medesimi.

Il problema quindi è di gravità non trascurabile, riguardando diritti umani essenziali di una frazione della comunità migrante. Occorre ricordare al riguardo come la Carta europea dei diritti fondamentali preveda, al suo art. 33, para. 1, come sia “garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale”. Alla protezione della famiglia è del resto dedicato anche una fondamentale disposizione della nostra Costituzione, l’art. 29, a norma del cui primo comma “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Deve essere quindi chiaro che la sottrazione dei figli costituisce una extrema ratio, che segna ad ogni modo una sconfitta dello Stato e della società, e a cui in Italia si ricorre, come rilevato da Patiño, molto più frequentemente che in altri Stati europei. Il che segnala un’anomalia preoccupante cui è il caso di rispondere adottando misure concordate fra lo Stato di provenienza e quello di destinazione dei migranti.

Per quali motivi quindi Gentiloni non ha incontrato Patiño? Occorre sperare che si sia trattato di un’effettiva impossibilità dovuta ad impegni concomitanti e che l’amministrazione degli affari esteri ponga rimedio a quella che, forse non del tutto a torto, è stata recepita dall’Ecuador come una mancanza di rispetto e di delicatezza che non contribuisce certo all’immagine del nostro Paese.
In un mondo sempre più globalizzato, in effetti, le questioni attinenti al trattamento delle comunità migranti acquisiscono importanza crescente e devono ricevere la dovuta attenzione dalle autorità preposte ai rapporti internazionali, specie quando, come in questo caso, siano in gioco diritti umani essenziali come quelli relativi alla tutela della famiglia.

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